L’ultima torre

DI ANTONIO MARTONE

 

Il mondo è cinico e baro. Ci ha fatto male. Occorre sfuggire alla sua ostinata cattiveria. Non possiamo far altro che isolarci e chiedere protezione agli Dei più intimi della nostra coscienza.
E così, ci rintaniamo in noi stessi. Spingiamo fuori – con tutta la forza che abbiamo – il mondo e le sue miserie. Il nostro Io è l’ultima torre, il castello che mai potrà essere espugnato, la grande capitale dell’Impero: nessun esercito nemico potrà mai occuparla. Ci arrocchiamo, barricandoci, nel punto più profondo di noi stessi.

La sorpresa più grande, però, si dà quando scopriamo che lì, proprio in quel punto che sentiamo più nostro di qualsiasi altro, non c’è affatto qualcosa di familiare e domestico. E meno che mai vi troviamo il nostro Io e noi stessi. Il grande paradosso della coscienza umana è che più ci si avvicina ad essa, più diventa rarefatta e sfuggente.

E’ così: quando ci rifugiamo nella torre più alta del grande castello, non troviamo ad attenderci il nostro Io rassicurante e domestico. Al contrario: la grande Torre, il Tempio dedicato al più sacro fra i nostri dei, ci si presenta affollato di stranieri che erano già presso di noi quando la nostra coscienza aveva creduto di isolarsi e aveva eretto le mura poderose davanti alla città.

Siamo costretti a verificare, allora, che il nostro Io non è affatto una sostanza di cui disponiamo. E neppure si tratta di una struttura stabile che possiamo ben identificare. No. L’Io non è nient’altro che un punto/soglia, una porta che si sporge su un territorio immenso e incontrollabile. Lo vediamo nei sogni: vengono senza annunciarsi per spaventarci, turbarci, commuoverci o consolarci. Lo vediamo nei desideri: nascono senza che li abbiamo necessariamente chiamati ad essere e, tante volte, fanno di noi ciò che vogliono.

La nostra Torre più alta è abitata da stranieri. Noi stessi siamo stranieri nella nostra casa. Non possiamo, né potremo in alcun caso, e nonostante i nostri sforzi più serrati, alzare mura invalicabili: lo straniero è fra noi da sempre e vi rimarrà per sempre.
Tutto ciò che possiamo fare è imparare la sua lingua, offrirgli di imparare la nostra e vivere in pace o sforzarci di farlo: nei limiti in cui la pace è possibile in un mondo di essere viventi.

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