L’ultimo Vincent

DI ANTONIO MARTONE

UN PROIETTILE NELLO STOMACO

Vincent van Gogh, la mattina presto del 29 luglio 1890, ospite dell’Auberge Ravoux nel villaggio di Auvers-sur-Oise, nel nord della Francia, esplose contro se stesso un proiettile che lo colpì allo stomaco.
Dopo una terribile agonia, morì due giorni dopo.

Una mia poesia, tratta dalla raccolta inedita, “Tempesta nel borgo” è dedicata agli ultimi giorni di Vincent.

– L’ULTIMO VINCENT –

Grigio cenere avvolto
Intorno alle pieghe
Negligenti e incolte le pieghe
D’una mia bianca camicia
Che da tempo non indossavo
Gli specchi ora evito
Miei nemici implacabili
E fisso le mura
Mura di falsità inconsapevoli
Colori falsi e bugiardi
Nessun orizzonte
Oltre le ombre
Nessun arcobaleno di luce
Né mulini agitati dal vento
Mi risucchia al di là delle ombre

Piove
Se mi guardo dall’alto
Scopro
Che mi sono perso in un vaso di fiori
In una pozzanghera putrida
Annuncio naufragi
Del mio essere non ho più memoria
Dei campi di grano e dei girasoli sovrani
Dei volti e degli occhi che celavano il mondo
Del seno di Sien e dei pittori fratelli
Dei cieli fiammanti nelle notti di stelle
Non ho più memoria
Ed ora annuso il presente
Sono il fiore marcio
Di questo vaso di fiori
Da giorni
Piove e poi piove
Gli uccelli
Non vengono più
Non cercano più il nido d’un tempo
E la loro assenza
La loro assenza assai m’addolora

Piove
E le nuvole gravide
Spessa interfaccia che il cielo mi aliena
Del mare che le ha generate
Sembrano ognora più immemori
E le nuvole gravide
Spessa interfaccia che il cielo mi aliena
Le mie lacrime cancellano svelte
In forma di pioggia
Quando fangose
Mi cadon sul volto pietose
E vanno ad annidarsi nel foro
Nel foro del mio sacrificio
I corvi struggenti ridacchiano tristi
Litanie funebri echeggiano acidule
Come in un sogno intravedo
Fugaci
Dell’ultimo Vincent i colori morenti

Piove
E gli oggetti e i ricordi d’un tempo
Mi cadon dagli occhi
Fino al terreno mi cadono
Persi
Nella pioggia che picchia
Sui fiori secchi continua a picchiare
Fiori secchi che non sentono
Lo strepito non sentono più
Dei corvi bagnati
Mi guardo i piedi
Vedo l’acqua fino al ginocchio
Il mio naso mi gocciola
E l’acqua ricade sugli stivali ormai fradici
E tu
Ora dove sarai
Arcobaleno fiorito di maggio
Sono stanco del muro
E dei suoi falsi colori
Dove ti nascondi ora dimmi
Ti nascondi forse dietro le nuvole

Piove
E rode i tronchi
Anche robusti
Questa interminabile pioggia
Più delle colonie di formiche d’estate
Rode
Quanti delitti al mondo vi sono
Che non conoscerò mai
E questa pioggia soltanto
Nasconde gli arcobaleni a venire
Ho sulla testa un giallo cappello
Reso grigio dalla pioggia incessante
Ma non basta a nascondermi
Ed io resto in ascolto dei corvi
Sperando che uno di loro
Almeno uno di loro
Trovi il gioiello che ho perso nel fango
Un orizzonte fiammante
Gravido
Gravido anch’esso come nuvole livide
Di arcobaleni di luci e colori di vita

 

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