Maestro di San Pietro in Sylvis (Pietro da Rimini), Apostoli

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

A differenza dei consueti Maestri di, vale a dire quegli artisti che difficilmente si è in grado di ricondurre ad autori conosciuti e spesso identificati in relazione ad un’unica opera, Pietro da Rimini figura come l’apparente contraltare: è lui l’ipotetico artefice di dipinti attribuiti a tali fantomatici esecutori che, a seguito di studi mirati, ne hanno rivelato la possibile identità.

Pietro opera in un contesto sui generis, in cui la scuola giottesca trova terreno fertile e consapevoli interpreti, dove, come evidenzia Vittorio Sgarbi ne Il Tesoro d’Italia, la lezione del geniale artista trova i suoi interpreti più ortodossi.

Non a Firenze o a Padova, dove sarebbe stato anche più logico aspettarselo, ma in Romagna e precisamente a Rimini, scegliendo un luogo ancora molto legato alla struttura romana, eppure in attesa di essere rinnovato portandolo ad una orgogliosa sensibilità, complice la vicinanza di Ravenna, che continua a perpetuare l’immagine vivente dell’impero romano d’Oriente.

Rimini raccoglie l’inaspettato privilegio di una eredità inventiva e lungimirante, che vedrà in Giovanni e Pietro da Rimini due personalità eminenti, quella del secondo anche più definita rispetto al primo.

L’indole autentica e inedita di Pietro, il quale realizza una magnifica versione della Deposizione dalla Croce, in cui risulta evidente lo sguardo sia a Giotto che ad altri autori dell’epoca come Pietro Lorenzetti e Simone Martini, tradisce la suadente sinuosità di un dinamismo agiato, la cui aurea dimensione pervade ogni tocco nel raggiungimento di una sublime luminosità.

Una fantastica commistione sospesa tra inclinazioni preziosamente pregevoli ed una storica classicità sovente rievocante la mai sopita statuaria romana, che lo porteranno ad esibire un carattere forte e dai molteplici risvolti, in grado di spaziare dalla sorprendente flessuosità alla solennità contemplativa, quest’ultima tangibile nell’Ultima cena, presente nell’abbazia di Pomposa, in cui la rappresentazione dei protagonisti si esibisce in modo talmente ossequioso e riflessivo da suggerire un sentimento di lirico distacco.

Pietro da Rimini desidera rappresentare non tanto la realtà quanto la sua essenza, poeticamente vissuta al di là della pura descrizione, in cui anche la narrazione risulta soggiogata, ritrovandosi relegata ad una dimensione prettamente prosaica.

Ed è proprio presso l’abbazia di San Pietro in Sylvis, a Bagnacavallo, che l’autore riminese si vede ora riconosciuta una doverosa gratitudine finalmente concessa, in cui il coro degli Apostoli denuncia l’eroica imponenza di un percorso cosciente, che pur non prescindendo dagli insegnamenti del maestro Giotto, pretende la propria visione di ereditaria monumentalità.

E così incedono gli Apostoli, fieri al limite del distacco e vissuti più da studiosi che da fedeli, ognuno portatore della sostanziale benevolenza divina che si estrinseca compiutamente e materialmente in libri e rotoli.

Il messaggio del quale sono portatori esiste realisticamente nel supporto materiale conseguente a una biblica rivelazione, vissuto attraverso un cerimoniale serio pur tuttavia non severo, di cui l’aspetto dialogante non finisce di delineare una figurativa genialità…

Segnalo il testo Il Tesoro d’Italia – La lunga avventura dell’arte, di Vittorio Sgarbi, che ho consultato in occasione della stesura di questo commento, e invito chiunque desideri aiutare la mia amata, ferita Romagna, a visitarla…

Maestro di San Pietro in Sylvis (Pietro da Rimini), Apostoli, affresco, Abbazia di San Pietro in Sylvis – Bagnacavallo, Ravenna
Immagine tratta dal libro Il Tesoro d’Italia – La lunga avventura dell’arte, di Vittorio Sgarbi

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