DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN
Il ghiaccio tagliente di Caspar David Friedrich ne Il naufragio della Speranza.
Un fatto reale, immenso, che soffoca per un attimo la nostra capacità di immaginarlo, per porsi in tutta la durezza di quelle lastre di ghiaccio nette e frastagliate al contempo.
È tutto diventa metafora e significato: i bordi glaciali assurgono a monito per l’uomo e per l’umanità, il cui desiderio di conoscenza, incarnato da Ulisse nell’Inferno dantesco, rimane frustrato dalla consapevolezza di una minimalità fisica, tuttavia sostenuta dalla grandezza dell’anima, che mai gli permette di esser pago della propria situazione, al contrario, al pari di un fiume continuamente in movimento, brama e desidera, talvolta conquista, spesso soccombe.
Panta rei. In ogni senso, in ogni modo, in ogni luogo. Si prende atto di una forza superiore, e del continuo bisogno di confrontarvisi. La misura di una competizione impari, volta a ridefinire forze e ruoli. Così è.
Death Valley, California. L’incredibile depressione geografica, tra California e Nevada, culminante nell’irreale paesaggio di Zabriskie Point, celebrato anche da Michelangelo Antonioni nell’omonimo film del 1970, cocente e irregolare, particolarmente adatto ad un road movie tra contestazioni, intrighi e passione.
La filosofia desertica di un nuovo punto di vista, che approfitta del contesto sovrastante per assistere all’implosione dell’intera società, nel progetto ambizioso di una visione visionaria, magistralmente diretta nello snodarsi di una atmosfera irreale.
Cosa c’entra Caspar David Friedrich con Zabriskie Point? Forse nulla. O forse molto, cogliendo il legame sottile tra le varie espressioni artistiche, pronto a manifestarsi inaspettatamente, specie quando ci si ritrova ad osservare un’opera di Maria Chiara Pruna.
Maria Chiara Pruna è un’artista contemporanea, sarda di origine ma emiliana di adozione, che in ossequio al proprio motto di connotare la vita di necessaria passionalità, ama variare tecniche e stili espressivi.
Per sua stessa ammissione, mossa e destreggiata tra continue modifiche alla ricerca di un risultato pulito e grafico, ultimamente soddisfatto dall’utilizzo dell’acrilico, tuttavia giunto al termine di un lungo percorso in cui è praticamente impossibile stabilire quale elemento abbia influenzato l’altro.
Non è una questione di predominio, quanto di concomitanza, in cui i vari fattori giocano un ruolo inizialmente nemmeno attribuito. Scoperto attraverso continui cambiamenti e perfezionamenti, in attesa di trovare risposta a domande, se non proprio incerte, quantomeno dubbie. Cercando qualcosa che si conosce esistente, ma senza identificarne immediatamente il nucleo operativo.
‘Ho sempre dipinto per me, seguendo il desiderio di mettere su tela qualcosa che mi aveva emozionato…’. Ed è una pittura che indubbiamente emoziona, sia per questa aspirazione a rivivere attimi e situazioni in qualche modo fissati nella mente e riflessivamente rivisti al termine di un indeterminato periodo di sedimentata memoria, sia per l’opportunità concessa ad autore e osservatore di condividere emotivamente sensazioni e suggestioni.
Le spiagge rappresentate sono quelle delle sue origini, dell’iglesiente e del Sulci; di quelle dimensioni territoriali proprie di un immaginario levigato allo sguardo, ma ruvido di attaccamento all’anima, tipico di personalità alla Grazia Deledda, che in vita, e in morte, mai si distaccherà dalla Barbagia e dal suo Ortobene, ai piedi del quale la scrittrice tuttora riposa.
Maria Chiara Pruna pervade i suoi dipinti di un amore senza compromessi, frutto di una conquista adulta e consapevole le cui reminiscenze originarie esercitano, tutto sommato, un’influenza limitata.
La scoperta prende il posto del ricordo, e la presenza occupa sguardo e mente.
Parafrasando lo splendido, suggestivo titolo di un romanzo di Ilaria Tuti, Come vento cucito alla terra…
Maria Chiara Pruna, Mattinata, 2018, acrilico su tela, 100×100 cm.
Immagine: web
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