DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN
Massimo Campigli è un giornalista, in particolare un corrispondente dalla Francia del Corriere della sera, il quale scopre la pittura solo in età matura, in seguito all’assidua frequentazione di importanti musei.
Non solo il Louvre, ma anche le opere egizie ed etrusche, queste ultime conosciute ed ammirate presso il Museo di Villa Giulia a Roma, che catalizzeranno le sue attenzione ed ispirazione.
Campigli osserva l’antico ed il classico, elaborandone le conseguenze in chiave moderna. L’originaria semplicità assurge ad una sintetica stilizzazione, la cui rappresentazione si estrinseca in pura forma.
Gli stessi cromatismi prescelti, nitidi e schematici evidenziano un indiscusso formalismo di rigore geometrico, privilegiando la schiettezza all’empatia.
È stato definito sempre uguale e sempre diverso, allo stesso modo in cui le sue opere appaiono ambiguamente senza tempo.
Unico soggetto raffigurato: le donne. Quell’universo femminile che, fin dall’infanzia colpisce il suo immaginario finendo per caratterizzarlo, ed inducendolo ad una ricerca che lo riporta all’archetipo.
La donna appare come un soggetto perfetto, la cui regalità – il fatto stesso di indossare gioielli depone in tal senso – comporta atteggiamenti di doverosa galanteria da parte dell’uomo.
I dipinti di Campigli appaiono protagonisti di un mondo suggestivo e misterioso, tuttavia sempre affrontato con irrinunciabile delicatezza.
A volte, come nel caso de Il giardino, non sono solo le riproduzioni femminili nei musei ad attrarlo, quanto le stesse donne incontrate per strada: novelle, affascinanti presenze, catturate in un mondo fantastico non scevro da rievocazioni infantili.
Donna in blu, come Figure, entrambi del 1959, rientra nei consueti canoni dell’artista, in perfetta linea con la suggestiva citazione dello scrittore Ezra Pound, il quale amava evidenziare la contemporaneità di ogni età, allo stesso modo in cui il pittore Gustav Klimt trovava ogni arte adeguata al proprio tempo, in una pittura in grado di rappresentare, attraverso la bella definizione di Beniamino Vizzini per La voce di New York – Arte e design, un vero e proprio Novecento contemporaneo alle età più antiche del Mediterraneo, che prendendo a riferimento le antiche popolazioni – Greci, Romani, Etruschi – si eleva a proporre un Novecento antico, come da omonimo titolo della mostra, curata da Stefano Roffi, nel 2014, presso la Villa dei Capolavori a Mamiano di Traversetolo, in provincia di Parma, sede della Fondazione Magnani Rocca.
Massimo Campigli, perfetto prodotto di un nucleo familiare caratterizzato da un cosmopolitismo dominante – la madre è una ragazza madre tedesca che inseguito sposerà un inglese – e della sfrenata passione per quell’arte cubista, conosciuta grazie al lavoro di inviato, e tanto amata da descriverne le sensazioni suscitate nello scritto autobiografico Scrupoli: quel cubismo aspirante ad essere eterno, che l’aveva condotto negli spazi espositivi museali, in cui poi si era ritrovato attanagliato tra antiche dimensioni oniriche, catturato dalle donne-idolo prigioniere.
Tra atmosfere rituali e strutture degne di sortilegi, alla ricerca di un tempo assoluto e sospeso, trattenuto dalla forma.
La ricerca indubbia di un agognato primitivismo, tuttavia contaminato da un ambiente, come quello parigino, incline a mostrarne la possibile evoluzione, con il risultato di una sincerità originaria, a tratti illusoriamente invaghita…
Per chi desiderasse leggerlo, segnalo l’ottimo articolo, di Beniamino Vizzini, Donna e temporalità nella pittura di Massimo Campigli, del 27 aprile 2014, per VNY La voce di New York – Arte e design
https://lavocedinewyork.com/arts/arte-e-design/2014/04/27/donna-e-temporalita-nella-pittura-di-massimo-campigli/
Massimo Campigli (1895-1971), Donna in blu, 1959, Litografia a colori, 75×54 cm., Collezione privata
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