Mi presento: “sono l’allieva, la moglie di…”

DI MARINA AGOSTINACCHIO

L’ articolo (letto nella rivista online Il Tascabile) di Eloisa Morra su un saggio di Daniela Brogi, docente all’Università per Stranieri di Siena, dal titolo “Lo spazio delle donne” mi offre uno spunto per una serie di riflessioni sullo stato dell’arte di noi donne all’interno del sistema lavoro e, oltremodo, allargato ai luoghi plurimi del quotidiano.

E così ripercorro anche la mia vita professionale quando essere insegnante donna era diverso dall’essere insegnante uomo, a meno che non indossavi modalità androgene nell’ atteggiarti, confrontarti, ammiccare, rivolgerti, interagire con gli studenti.

D’accordo, devi sempre vestirti di autorevolezza nel rapporto con i ragazzi, meglio poi se chiedi in prestito questi requisiti al collega tale e talaltro, collega che è capace di relazione empatica proprio in quanto è maschio.
Da te emana una forza indiscutibilmente affascinante quando spieghi, sentendoti una specie di missionario, o narcisista, o salvatore del gruppo-classe…

Ma per alcune donne, questa specie di alchimia virile, emanata dalla cattedra o camminando tra i banchi, tradisce di sé quella che è la vera essenza, quando ci si sveste dei panni di docente.
Lo stile gentile – “insidiosamente scambiato per una forma di maternage” – tra gli alunni non gioca a tuo favore; se “ti dai” al tuo auditorio con una modalità “virilmente” autoritaria e prepotente, tradisci quell’ habitus accademico patriarcale a cui sei stata conformata da un certo punto in qua della storia.

Sdoppiata, vivi con modi goffi e duplici il tuo porti in classe e in altri contesti di vita; questi duplici modi, poi, negli spazi della relazione lavorativa e formativa, impediscono di vivere con equilibrio i diversi ruoli che ci si trova a ricoprire nei diversi ambiti in cui ci si muove.
Relativamente ad altre situazioni di scarso riconoscimento del ruolo ricoperto, mi è capitato, a volte, di non vedere ai colloqui, deputati all’incontro con i genitori degli alunni, i padri.

Che fossero di cultura arcaica o anche nostrana, tu eri una donna e per questo era normale che alla donna si dovesse interfacciasse la madre dello studente.
La scuola è sempre stata il luogo del femminile, almeno fino alla media. Il collega maschio, seppure con una certa difficoltà iniziale di “sistemazione” all’interno di uno spazio abitato e gestito in prevalenza da donne, fa molto presto poi a sentirsi a proprio agio.

Spesso capita che tra donne si preferisca “affondare il ferro” reciprocamente, anziché fare squadra in modo costruttivo; capita poi che all’interno di dibattiti, confronti, consigli di classe, collegi docenti, si propenda ad adagiarsi su posizioni contrarie a quelle della collega, a prescindere dalla bontà di quanto viene detto o fatto dal collega.
Ma andiamo oltre, spostandoci su un altro fronte: quello del grammaticalmente corretto.

Spesso sentiamo affermazioni sul preferire esser chiamate ‘scrittore’ o ‘poeta’ in luogo di scrittrice e poetessa; Ginzburg e Morante, ad esempio, rivelano rispettivamente una tendenza di pensiero, la prima, all’essere femminile ma non femminista, e una propensione all’ androgino la seconda.

Tuttavia le voci di queste due donne, nonostante la loro legittimazione riconosciuta e condivisa come autrici autorevoli, erano ben lontane dal concretizzare un capovolgimento di pensiero in un’era in cui ancora c’era “chi era cresciuta senza avere diritto di voto o guadagno autonomo “.
Spesso la donna ha dovuto uscire a fatica dalla gabbia dell’essere “incoraggiata a non avere talento”, privata perfino nella sfera immaginativa da una tensione ad arrivare secondo alle proprie capacità e potenzialità riconosciute.

Troppe le linee di demarcazione da potere oltrepassare e le proibizioni da non trasgredire. Ancora oggi la donna che deve esprimere un parere si vede costretta a ingaggiare una battaglia argomentativa estenuante; pensiamo poi se la donna in questione – a cui viene tolta anche la probabilità dell’errore – pur “sentendo” la verità della propria opinione, non è attrezzata a portarla avanti con un ragionamento espresso con una sintassi stringente, fluida e corretta.

Non sempre avviene, ma è indiscusso come in qualsiasi punto della terra, dai Paesi ancora sotto l’egida maschile, a quelli più democratici, esista il problema del merito quando per l’assegnazione di posti in un’azienda, si prediliga l’uomo alla donna.
Succede anche che nei luoghi di lavoro o nei periodi di prova per l’assegnazione di un posto, si ingaggi una lotta di alto profilo aggressivo, ambizioso, individualista; è utile rammentare come “Sbarazzarsi della competitività narcisista” sia il primo gradino per ristabilire un equilibrio tra i sessi.

E per questioni di retaggio culturale, o di una tendenza che fatica ad essere superata, o ancora per una questione semplicemente economica, laddove a una donna venga chiesto quale progetto personale di vita abbia, se sia intenzionata ad avere figli… la scelta di una risposta sia o sul versante dell’inganno o su quello coraggioso della verità.

Proseguendo in questa indagine conoscitiva sul ruolo della donna in determinati contesti, si assiste anche, a proposito di donne scrittrici, al riconoscimento del loro successo solo facendo riferimento alla vita intima, magari agli aspetti morbosi o alle caliginose relazioni, tralasciando il valore reale espresso dalle loro opere.
Altresì, il riconoscimento del critico o del lettore, di fronte all’opera di un’artista donna, avrà indugiato più su un’emotività labile o sul carattere prorompente della stessa che sull’effettiva qualità del proprio manufatto.

Il genio femminile, o la genialità dell’artista, oltre a seguire la voce segreta dell’anima che rende sicuri nella realizzazione del proprio destino e a diventare ciò che si è, ha dovuto combattere con la forma per andare oltre a quelli obblighi che costituivano le fondamenta del gesto creativo.

Ma allora, come rapportarsi all’alterità? Affrancandosi da una parte da atteggiamenti pregiudiziali, da stereotipi misogini, dal modello patriarcale, per potere rivelare liberamente e con uguale riconoscimento un diritto ad esprimere sé.
Ma anche liberandosi da atteggiamenti di intransigenza verso l’altro, per acquisire una prospettiva allargata e pluridimensionale di porsi in relazione.

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