Mosè Bianchi, vecchia Milano

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Una delle consuete immagini proposte, dal pittore Mosè Bianchi, a proposito della Milano dell’epoca, che egli, tra i maggiori artisti dell’Ottocento, fissa attraverso una serie di fascinosi dipinti in grado di catturarne l’avvolgente testimonianza.

Un rapporto stretto e partecipato, quello tra Bianchi e la città di Milano, in cui l’artista, nato a Monza e in seguito frequentatore di Brera, pur perfezionando la propria preparazione tra Venezia e Parigi, ove prende contatto con le tele di Tiepolo e Fortuny.

Rimane profondamente legato alla raffigurazione delle scene di genere, che ama realizzare soprattutto attraverso quello stile tanto particolare e veloce, caratterizzato da pennellate rapide e vivaci.

Una dimensione prettamente orientata ad un ragionato verismo, per quanto la volontà di una rappresentazione più originale, modulata verso un aspetto simil impressionista, ne modifichi in parte la resa, tanto da avvicinarlo agli ambienti della scapigliatura.

È dopo il 1880, infatti – l’opera riportata, come altre del medesimo genere, risale al periodo relativo all’ultima decade del diciannovesimo secolo – che l’autore mostra una netta preferenza per vedute lagunari e scene tipiche milanesi.

La sua capacità di dare vita a ciò che viene definito un bozzettismo cronachistico, sospeso tra aspetti romantici e pittoreschi, vive in quelle scene non tanto densamente animate quanto sentimentalmente condivise, prediligendo la condizione climatica di una persistente pioggia, la cui bruma permea e distingue contesti lucidi e differenti, la cui sobria quotidianità, scossa da quella rappresentazione vagamente mossa e sfuocata, appare decostruita in una tremante visione di singolare abitudine.

Nel 2016, l’artista lombardo è stato celebrato, quasi incredibile a dirsi, per la prima volta attraverso un mostra monografica nel capoluogo, comunque in seguito ad altre rassegne precedentemente ospitate nella sua città natale, presso la Galleria d’Arte Moderna Manzoni, in una esposizione curata da Enzo Savoia e Francesco Luigi Maspes.

Insieme ai consueti lavori, conosciuti in quanto esposti presso prestigiosi siti locali, non è mancata la presenza di opere mai fino ad allora visibili al pubblico poiché appartenenti a collezioni private, poi oggetto della stesura di un imponente catalogo incentrato sul rapporto tra il pittore e la realtà cittadina, introdotto da un saggio di Nicoletta Colombo e accompagnato da un testo di Elisabetta Staudacher, quest’ultima responsabile dell’archivio della Permanente.

Anche il canale Sky Arte non ha mancato di occuparsi della prestigiosa mostra, rimarcando l’aspetto della Milano scomparsa, tanto familiare a Mosè Bianchi e ai suoi contemporanei, quanto ormai misconosciuta ai più, in grado di rivivere, in massima parte, grazie a ricordi personali e doverosi omaggi tributati.

Vedute svelate e sensazioni rivelate, nella misura di un riscoperto interesse foriero di suggestive espressioni, la cui sorprendente ammirazione appare paragonabile ad una grandezza finalmente ritrovata…

Mosè Bianchi 1840 – 1904
Vecchia Milano (1893)
Olio su tavola (26,5 x 37,5 cm)
Collezione Privata

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