Muri naturali: le rupi

DI FABIO BORLENGHI

 

 

Alcuni ambienti naturali si possono solo osservare, ammirare, scrutare; fra questi le rupi. Amando e frequentando la montagna è frequente trovarsi nei pressi di una parete rocciosa, fermarsi a osservare le molteplicità delle sue forme, dei suoi colori con le tante sfumature intermedie e, avendo tempo e pazienza di aspettare, cogliere la vita delle tante specie animali e vegetali che vi abitano.

Se si esclude l’attività di arrampicata sportiva, che certo non appartiene al grande pubblico, potremmo definire le rupi, con la loro verticalità, habitat naturali preclusi alla presenza fisica dell’uomo e a consumo di suolo zero, perché non impegnano alcuna superficie terrestre.

La lettura geologica delle rocce ci porta a distinguere varie tipologie: calcaree, arenarie, cristalline, vulcaniche e tantissime altre. Il paesaggio montano appenninico, che conosco e frequento con assiduità, è in gran parte occupato da sistemi rupestri calcarei, originati dal sollevamento di antichi banchi sedimentati.

Difficile immaginare la trasformazione dei luoghi avvenuta in milioni di anni partendo dall’oggetto finale: una valle boscosa con rupi emergenti dal verde della vegetazione.

La prima volta che mi accorsi della vita naturale su una rupe fu quando, risalendo un sentiero dei Monti Lucretili, nel Lazio, alla mia sinistra si delineò la sagoma imponente di una falesia calcarea che sembrava emergere dal bosco come una nave immersa in un mare verde.

Rimasi incantato dalla bellezza del luogo e stetti fermo sul sentiero alcuni minuti osservando e ammirando la parete rocciosa in tutta la sua bellezza.

Quasi al centro della superficie rupestre si apriva una profonda fenditura dalla quale emergeva una vegetazione rigogliosa abbarbicata alla parete come l’agave di Montale nei suoi Ossi di Seppia: “ora son io l’agave che s’abbraccia al crepaccio dello scoglio”.

Dalla parete rocciosa emergevano vecchi arbusti di leccio le cui radici penetravano nella nuda pietra. Uno in particolare appariva maestoso e diverso da tutti gli altri.

Sopra le sue fronde più alte poggiava, come un trono, un ammasso di rami secchi accatastati in un intreccio sapiente, la cui altezza sembrava raggiungere i due metri. Mentre osservavo incuriosito quest’ammasso di rami, d’un tratto una sagoma scura scivolò lenta davanti alla rupe.

Era un’aquila reale appartenente alla coppia che sapevo presente da sempre nella valle e che proprio su quell’ammasso di rami, loro nido, periodicamente si riproduceva.

Il grande rapace sfilò ad ali spiegate lungo tutta la parete per poi tornare indietro e atterrare su un pinnacolo roccioso in cresta alla rupe, la sua casa. La luce mattutina provocava riflessi dorati nella testa dell’aquila, ferma sulla roccia a scrutare il suo territorio.

Ma l’elenco dei possibili abitanti di una rupe non finisce qui. Avvoltoi, falconi, corvi imperiali, gracchi, rondoni alpini, rondini montane, picchi muraioli e tanti altri uccelli possono abitare, riproducendosi, il mondo variegato delle rupi, siano esse montane o collinari o falesie a picco sul mare.

Nonostante la verticalità delle pareti rocciose le minacce di disturbo antropico non mancano. Chi arrampica lo fa principalmente per sfidare se stesso in un’attività sportiva anche estrema e a volte questo cosiddetto sport interferisce negativamente con la riproduzione dei tanti possibili abitanti della rupe.

Nei parchi, riserve naturali e siti della rete europea natura 2000 (SIC e ZPS) le arrampicate sportive sono regolamentate se non vietate in alcuni casi particolari, ma si sa, le norme con poco o senza controllo sono di dubbia efficacia.

Che dire poi del volo di elicotteri a ridosso di rupi quando abitate da aquile in cova.

Succede, purtroppo.
La conservazione della natura tutta, rupi comprese, è un valore sacrosanto che si poggia sulla conoscenza di ciò che si vuole proteggere, e questo perché lo si ama.Pubblicità

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