Nadia e le altre: il prezzo della poesia

DI DANTE IAGROSSI

Viviamo in un paese democratico, con tutti i limiti e difetti che lo accompagnano da sempre. Comunque, possiamo esprimere le nostre opinioni e lo facciamo piuttosto spesso, anche contro i vari governi che si succedono.

Purtroppo a volte questa facoltà, a priori positiva, viene adoperata anche in modo negativo, quando si arriva al dileggio e all’invettiva, persino al pettegolezzo corrosivo. Bisognerebbe non esagerare…

Eppure ci sono ancora Paesi in cui certe parole costano davvero caro: denunce, prigione, violenze e persino la morte. Emblematica la storia di Nadia Anjuman, afghana. Nata nel 1980 ad Herat, quando ha solo 15 anni, la sua città è presa dai Telebani, che tra le varie limitazioni, impediscono alle donne di frequentare le scuole pubbliche.

Ma Nadia proprio allora comincia a scrivere poesie e insieme ad altre studentesse, in un circolo di cucito, di nascosto segue lezioni di letteratura, non solo del passato, ma anche contemporanea.

All’indomani dell’attentato alle Torri Gemelle, con l’intervento degli americani, cui segue la sconfitta talebana, Nadia si laurea in Lettere e pubblica un libro di poesie “Fiore rosso scuro”, in cui riversa il suo profondo desiderio di essere libera da imposizioni e di conoscere.

L’opera, pur acerba sul piano letterario, è comunque piuttosto originale nei contenuti e forme. Viva, vibrante e percorsa da un certo spirito religioso.

Eppure dopo aver sposato un ricercatore universitario e aver messo al mondo una bambina, viene soffocata a morte dallo stesso coniuge.

La sua colpa? Aver provocato il disonore familiare, per la lettura in pubblico dei suoi ghazal, poesie rivoluzionarie. Nel suo Paese, dopo il ritorno dei Talebani nell’agosto 2021, a 20 milioni di donne non è concesso di lavorare fuori casa da sole, se non per certe dottoresse ed infermiere. No anche a biciclette, moto, sport esterni, risate a alta voce, presenza in radio e Tv, cosmetici, vestiti colorati.

Il burqa è obbligatorio, (altrimenti sono punite). In caso di relazioni extraconiugali, c’è la lapidazione. La sua Herat, soprannominata “Città dei poeti” ha il sinistro primato della percentuale più alta di suicidi femminili.

Infatti, molte donne preferiscono allora darsi fuoco, usando il petrolio delle stufe di cucina, pur di sfuggire a matrimoni imposti a età assai giovani dai familiari.

Inoltre nel Paese avvengono in media circa cinquemila femminicidi all’anno.
Di lei sono rimasti versi che, drammatici e categorici, ci trasmettono il suo senso di segregazione, la solitudine e il desiderio incontenibile di libertà:
“Sono imprigionata in questo angolo di mondo/ piena di malinconia e dispiacere./ Le mie ali sono chiuse e non posso volare.”

“Quante volte è stata tolta dalle labbra/ la mia canzone e quante volte è stato/ zittito il sussurro del mio spirito poetico!/ Il significato della gioia è stato/ sepolto dalla febbre della tristezza./ Se con i miei versi tu notassi una luce:/ questa sarebbe il frutto delle mie profonde immaginazioni./ Le mie lacrime non sono servite a niente/ e non mi rimane altro che la speranza./ Nonostante io sia figlia della città della poesia,/ i miei versi furono mediocri./ La mia opera è come una pianta priva di cure,/ da cui non si può pretendere molto./ Nell’archivio della storia,/ questo è tutto ciò che mi rappresenta.”

“…Io e la mia solitudine forzata./ Insieme al dispiacere e alla tristezza./ Sono nata per il nulla./ Le mie labbra dovrebbero essere sigillate./ Oh, cuore mio, lo senti che è primavera/ ed è tempo di festa./ Cosa posso fare con un’ala intrappolata/ che mi impedisce di volare?/ Sono stata zitta per troppo tempo,/ ma non ho dimenticato la melodia, / perché continuo a bisbigliare/ le canzoni nel mio cuore profondo, per ricordare a me stessa/ che un giorno distruggerò questa gabbia,/ e volerò via dalla solitudine/ e canterò, con la mia malinconia. / Io non sono come un debole pioppo/ che si piega al vento. / Io sono una donna afghana,/ e questo è il mio lamento.”
Testo di riferimento: “Versi di libertà (trenta poetesse da tutto il mondo”) di Maria Grazia Calandrone, ed. Mondadori.

Immagine tratta dal web

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