Neve a La Paz

DI ORNELLA SUCCO

Il nostro arrivo a La Paz venne segnato da un avvenimento alquanto inconsueto: una nevicata improvvisa e inattesa aveva, quel 20 agosto del 1986, reso inagibile la pista di atterraggio dell’aeroporto di El Alto.

Essendo l’evento assolutamente raro, gli addetti dell’aeroporto non disponevano di mezzi meccanici per sgombrare la pista dalla neve e noi, insieme agli altri viaggiatori diretti in Bolivia, dovemmo attendere alcune ore all’aeroporto di Lima finché non riuscirono a liberare la pista rimuovendo a mano, con pale e attrezzi similari, tutta la neve che l’aveva ostruita.

Pertanto anziché giungere a destinazione nella tarda serata del 20 agosto toccammo finalmente il suolo boliviano verso le tre del mattino del giorno 21.

Ad attenderci, come avevamo stabilito parlandoci al telefono, c’era suor Luisita, una suora salesiana che ci aveva assistito a distanza e alla quale avevamo affidato la procura per completare tutte le fasi preliminari relative alla nostra richiesta di “arrogación” ovvero la richiesta di poter adottare un minore orfano che fosse stato dichiarato adottabile secondo le norme previste dal codice boliviano.

Suor Luisita era una donna minuta nel fisico e piccola di statura che, nonostante i suoi 73 anni, dimostrava una vitalità invidiabile; dopo un primo velocissimo saluto ci obbligò ad ingurgitare un bicchiere di bevanda calda estratta da un thermos che portava con sé: “ Mate de coca” ci spiegò “serve per combattere il soroche ovvero il male dovuto all’altitudine che a La Paz varia dai 3.500 ai 4.100 metri, con il passare dei giorni ci farete l’abitudine, ma oggi è meglio che prendiate qualcosa che vi aiuti ad ambientarvi”.

Poi, come se niente fosse, si recò al bancone della dogana e nel giro di pochi minuti sbloccò le nostre valigie, le fece caricare da un giovane uomo e ci condusse ad un taxi che aspettava fuori dall’aeroporto.

Durante il tragitto ci spiegò che avremmo alloggiato presso la casa delle suore salesiane che gestivano una scuola materna nel quartiere di Obrajes, un quartiere che sorge nella zona sud della città ed ha il vantaggio di trovarsi ad un’altitudine leggermente più bassa di quella media cittadina.

Ci spiegò infatti che La Paz è come una specie di girone infernale rovesciato: i quartieri poveri sono quelli che si trovano ad altitudine più elevata, dove d’inverno i venti secchi e gelidi dell’altipiano sferzano le strade senza pietà.

Chi poteva permetterselo preferiva dunque costruire la propria abitazione nelle parti meno esposte della vallata scavata dal fiume che attraversa la città.

Mentre raggiungevano la nostra destinazione ci trovammo ad ammirare un paesaggio incredibile: scendendo da El Alto che si trova appunto a 4.080 m. ci pareva di viaggiare all’interno di un gigantesco presepe, file di casette basse e con i tetti piani ricoperti di neve lasciavano posto, man mano che si scendeva, a quartieri residenziali caratterizzati da palazzine e villette fino a giungere al centro cittadino dove moderni grattacieli contendevano lo spazio ai palazzi dell’architettura coloniale, illuminati da una luce giallastra che ci ricordava l’illuminazione stradale prevalente in Italia negli anni ’50-’60.

La neve rendeva il tutto quasi irreale e suor Luisita si voltò verso di noi per invitarci a guardare bene e con attenzione: “Non durerà- disse- domattina sarà tutta sciolta, è un evento straordinario, forse un segno che qualcosa di straordinario vi aspetta.”

Quando arrivammo alla casa salesiana di Obrajes, erano quasi le quattro del mattino e ci fiondammo a dormire vestiti come eravamo per il viaggio, senza perdere tempo a disfare le valigie: avevamo sì e no quattro ore per riposare perché la mattina successiva avremmo finalmente potuto incontrare nostra figlia; di lei sapevamo solo che si chiamava Miriam e che aveva otto mesi, tutto il resto lo avremmo scoperto insieme in questi ultimi trentaquattro anni di vita e oggi posso dire che suor Luisita aveva ragione, il nostro incontro era stato segnato da un avvenimento straordinario così come lo sarebbe stata la nostra avventura di “apprendisti” genitori.

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