Non fermatevi mai dietro l’apparenza. Quanto fango, spesso, dietro il luccicare

di Giovanna Mulas

“(…) I miei detrattori mi conoscono come sincera al limite dell’impudicizia;
non l’ho mai mandata a dire, che sia un pastore o un presidente. Quanto sarebbe più facile il mondo, se in troppi non andassero a celarsi dietro i “Ni”.

Del resto i ruoli, tutti, e i riconoscimenti a che servono se non, soltanto, ad aprire porte interessanti per il proprio lavoro o l’ambizione?
Per vivere degnamente basta poco…il resto è un consumare compulsivo; comprese le immagini, i corpi.

Non fermatevi mai all’apparenza, ragazzi…mai! Quanta merda, spesso, dietro il luccicare. Tutto è vanità.

Maschere di cui si fregiano i più deboli e che posso comprendere solo fin quando non si raggiunge l’età della ragione.
Che non sempre arriva, ma questo è altro discorso.

Rammento che, bambina,
-avevo se non erro sette anni- montai una sommossa contro l’undicenne (l’undici è un numero che torna da sempre, nella mia vita)
figlia del direttore delle poste di Aritzo, paese di origine di mia madre, dove mi trovavo durante le vacanze estive. Aveva osato, la piccola puttanella con la puzza sotto il naso (il padre rappresentava un’istituzione, in quel paesello meraviglioso quanto sperduto nel Gennargentu) chiamarmi “negra!”, per la mia abbronzatura accentuata che, ad oggi, sovente mi fa scambiare per una sorella cubana.

Ricordo che, senza avere una idea politica e men che meno della vita, come di norma è giusto che sia a sette anni, me l’ero presa a tal punto, nella difesa dei fratelli neri intendo, che l’avevo caricata di botte. E ne avevo prese.

Rammento che mia nonna, avvisata dalle vicine pettegole, era dovuta accorrere lì nella piazzetta della giostra fissa e arrugginita, per dividerci: l’avevo lasciata sporca di fango, la bambolina, e lei mi aveva strappato tanti di quei riccioli mediterranei che il ricordo ancora duole, e mi fa scoppiare a ridere. Per lei il capriccio del momento era stato disprezzare i neri attraverso me, per me l’offesa era stata “Perché questa stronza ce l’ha con gli ‘scuri’?…ma che le hanno fatto?”, e come principio eterno e irremovibile; perché ricordavo tutta la sofferenza dei ritenuti ‘diversi’ e che, nei film, avevo respirato da Kunta Kinte, Orzowei, e dal Libro della Giungla. Pure da David Copperfild, anche se di tipologia caucasica.
Eppoi la tipina era bionda, troppo elegante e pettinata, per quella piccola figlia degli alberi che ero e che sono.

Rammento che, dopo, le presi malamente anche da mia nonna, perché avevo osato picchiare la figlia dell’istituzione del paese, quei signorotti di cui tutti dovevano vantare l’amicizia: io rappresentavo la vergogna della famiglia.

Oggi le cose non sono cambiate molto; ed è anche per questo che, con mio marito e i nostri ragazzi, tutti artisti affermati, amiamo vivere lontano dai salotti letterari e artistici italiani. Li frequento solo se obbligata dall’impegno professionale, ma li conosco molto bene: vero e potente danno della letteratura nazionale. Quelli che stanno in mezzo; e chi sta in mezzo, politicamente parlando, fa già una politica…e non quella dei necessitanti sostegno.

I salottieri che più mostrano la carta da parati e di meno talento sono fregiati…ma la mancanza di talento non è una colpa.

Sì diviene colpa in termini di esempio, responsabilità nei confronti e delle nuove generazioni e della storia; quando spinge a sparare o pubblicare capricci sterili, inutili per i tempi di profondo oscurantismo che abitiamo.
Un poco come la boutade della biondina.
In questi casi sì… So che è meglio tenere lontana l’acqua dal fuoco (…)”.

*Estratto da InFrAmmentos (di me), autobiografico

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