Non si nasce #scrittori, lo si diventa

di Giovanna Mulas

Copiato, stampato o fotografato, il libro ha il fine di permettere la moltiplicazione della parola nell’ identico tempo in cui la conserva: un libro per una sola persona non avrà alcun senso.
Dunque è letteratura ogni opera che non è utile, ma è fine a sé stessa?
E’ letteraria ogni lettura non funzionale, cioè a dire soddisfacente un bisogno culturale non utilitario?.
Se, rifiutando la testimonianza del lettore, si interroga lo scrittore, la creazione letteraria è atto solitario e libero che esige un certo distacco dalle esigenze sociali. Se lo scrittore deve, in quanto uomo e artista, rappresentarsi il suo pubblico e sentirsi alleato a lui, sarebbe deleterio se avesse una coscienza troppo chiara delle determinazione che questo pubblico fa pesare su di lui.

Escarpit: si è comparato l’atto della creazione letteraria al gesto del naufrago che getta in mare una bottiglia: il paragone è calzante soltanto nel momento in cui il naufrago immagini il salvatore al quale ha indirizzato il suo messaggio, si senta solidale con lui, ma ignori verso quali rive sconosciute le correnti porteranno il suo messaggio.
La produzione letteraria è l’azione di un popolo di scrittori che, attraverso i secoli, è sottomessa a delle fluttuazioni analoghe a quelle di tutti gli altri gruppi demografici: invecchiamento, ringiovanimento, sovrappopolazione, spopolamento, etc. Per ottenere una definizione o almeno un campionario significativo della popolazione letteraria, si possono prendere in esame due procedimenti estremi.
Il primo sarebbe quello di inventariare tutti gli autori di libri pubblicati in un paese tra due date stabilite. Il secondo sarebbe quello di rimettersi ad una lista degna di fede, come ad esempio l’indice di un manuale di storia della letteratura di riconosciuta qualità. In realtà né l’uno né l’altro di questi procedimenti è soddisfacente. Il primo poggia su di una definizione meccanica di scrittore, che personalmente aborro: l’uomo che ha scritto un libro.
La definizione meccanica del libro è già, di per sé, inaccettabile ché ignora la necessaria convergenza o compatibilità tra autore e lettore. Parimenti lo scrittore, considerato come un semplice autore di parole, è privo di significato letterario.
Egli non acquista questo significato, non si definisce come scrittore che dopo, “allorquando un osservatore posto al livello del pubblico sia in grado di percepirlo come tale. Non si è scrittori che in rapporto a qualcuno, agli occhi di qualcuno” (Rif. Sociologia della Letteratura). Certo è che il primo fenomeno che permette di studiare un tale campionamento è quello della generazione intesa da Albert Thibaudet o Henry Peyre (da Tableau récapitulatif des générations): “(…)
A titolo di esempio citiamo la grande generazione dei Romantici in Francia, intorno al 1800 che, dopo una generazione relativamente povera, vede nascere tra il 1795 e il 1805 Augustin Thierry, Vigny, Michelet, August Comte, Balzac, Hugo, Lacordaire, Mérimée, Dumas, quinte, Sainte-Beuve, George Sand, Eugène Sue, Blanqui e Eugénie de Guérin. Altre grandi generazioni sono quelle del 1585 in Spagna, del 1600-1610 in Francia, del 1675-1785 in Inghilterra, etc.”
Una generazione di scrittori non appare prima che la generazione precedente non abbia superato, almeno generalmente la soglia dei quarant’anni. Tutto avviene come se la fioritura non fosse possibile che a partire da una base di equilibrio, quando la pressione degli scrittori sulla scena si affievolisce fino al punto di cedere alla pressione dei giovani. Una terza osservazione prende le mosse dalla precedente.
Quando si parla di una generazione di scrittori, il dato significativo non può essere la data di nascita, e neppure quella in cui l’autore compie vent’anni.
Non si nasce scrittori, lo si diventa; ed è raro che qualcuno lo sia diventato a vent’anni.
L’accesso all’esistenza letteraria è un procedimento complesso il cui il periodo decisivo si situa in qualche momento intorno alla quarantina, ma è essenzialmente variabile: bisogna pensare a una zona d’età piuttosto che a un’età precisa.
Così, giunto tardi alla letteratura, Richardson (nato nel 1689) è biologicamente contemporaneo di Pope (nato nel 1688) ma deve essere collegato alla generazione di Fielding (1707). E’ frequente che delle generazioni giovani comprendano dentro i loro ranghi un “pilota” più anziano degli altri: a livelli diversi, Goethe, Nodier, Carlyle hanno giocato questo ruolo.
La nozione di generazione, seducente a prima vista , non è chiara. Potrebbe esser meglio sostituirla con quella di gruppo, più flessibile e più organica.
Il gruppo è l’insieme di scrittori di tutte le età (benché prevalentemente di una determinata età) che, in occasione di certi avvenimenti, prende la parola, occupa la scena letteraria e, coscientemente o no, ne blocca l’accesso per un determinato lasso di tempo, impedendo alle nuove vocazioni di realizzarsi.
Quali sono gli avvenimenti che provocano o permettono questa formazione di gruppi? Sembra che si tratti di avvenimenti di tipo politico che comportano un rinnovamento personale e di personale: cambiamenti di regni, rivoluzioni, guerre.
Per situare uno scrittore nella società è necessario informarsi sulle sue origini.
Nei casi individuali, i biografi prende questo tipo di precauzione. Si è molto meno informati sui tratti collettivi di queste origini. E’ opportuno, qui, rendere omaggio allo psicologo britannico Henry Havelock Ellis che fu precursore in questo campo e che, dalla fine del secolo scorso, applicava un metodo statistico a quella che egli chiamava l’analisi del genio ( A study of british Genius, Londra, 1904). Degli studi di Havelock Ellis, è opportuno ricordare la ricerca delle origini geografiche e la ricerca delle origini socio-professionali.
Si indica quindi la possibile influenza dell’ambiente e delle istituzioni –corsi, accademie, parlamenti, centri urbani, università- sulle vocazioni letterarie. Le ricerche che si intraprenderanno per descrivere questi fenomeni devono essere condotte con circospezione estrema, portando avanti l’analisi e la critica che tengono conto degli spostamenti, delle origini accidentali, e si può concludere che da una generazione all’altra, viene prodotta una concentrazione verso una zona media della scala sociale che costituisce ciò che potremmo chiamare “l’ambiente letterario”.
(…) Ogni scrittore, al momento di scrivere, ha presente alla coscienza un pubblico, non fosse altri che lui stesso. Una cosa non è stata interamente detta se non è stata detta a qualcuno; è il senso dell’atto della pubblicazione.
Ma si può affermare anche che una cosa non può essere detta a qualcuno (pubblicata) se prima non è stata detta per qualcuno. I due qualcuno non sempre coincidono (Cfr. Escarpit): E’ raro che lo facciano.
Detto in altri termini, esiste un pubblico-interlocutore alle fonti stesse della creazione letteraria. Tra lui e il pubblico al quale si rivolge la pubblicazione possono esistere delle sproporzioni rilevanti. E’ il caso di Samuel Pepys che, nel suo “Journal”, non scriveva che per se stesso –lo dimostrano le sue precauzioni stenografiche e crittografiche- ed era dunque l’interlocutore di se stesso, ma che si è rivolto dopo la sua morte ad un immenso pubblico grazie agli editori che l’hanno pubblicato.
(…) Al contrario, il romanziere cinese Lu Hsun che, dal 1918 al 1936, pubblicava le sue novelle in raccolte o riviste, si rivolgeva soltanto ad una cerchia ristretta d’intellettuali o di militanti, scriveva per decine di milioni di Cinesi (i quali però hanno finito per comprenderlo, giustamente, il giorno in cui la rivoluzione trionfante gli ha fornito un editore alla misura delle sue intenzioni).
Il pubblico-interlocutore si può ridurre a una sola persona, un solo individuo. Quante opere universali sono state in origine solo messaggi personali? Di tanto in tanto la critica erudita riscopre questo messaggio contemporaneamente al suo destinatario e crede di aver spiegato del tutto l’opera.
In realtà, ciò che bisognerebbe spiegare è come il messaggio, cambiando il destinatario (e talvolta il senso), abbia conservato la sua efficacia.
In questa efficacia mantenuta risiede tutta la differenza tra un’opera letteraria e un documento qualsiasi.
*Estratto da ‘Penelope che parlava agli Specchi’, saggio
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