Non si sogna mai così forte come quando si hanno vent’anni

DI GIOVANNI BOGANI

In uno di questi autobus a due piani ci finimmo una notte d’inverno, io ventenne, i capelli come Angelo Branduardi, tutti lunghi, riccioli e neri. E una giacca Adidas di nylon come unico cappotto.

L’avevo pagata 2.500 lire da un compagno di scuola, e mi sembrava magica, per via di quelle tre strisce, ma avevo sempre freddo, d’inverno, solo con quella.

Con me c’era una studentessa di filosofia con i capelli castano chiaro e un naso bellissimo. Sembrava Liv Ullman, l’attrice dei film di Bergman.

Avevamo camminato per ore, come facevamo sempre, eravamo andati a piedi, forse a Fiesole, o chissà. Parlando della vita, della filosofia, di scrittori – tu ne conoscevi mille milioni più di me – e di quello che forse c’era oltre la vita. Così ci ritrovammo pieni di freddo, e al confine della città c’era questo autobus a due piani, in mezzo a un campo, con le portiere aperte.

Per noi fu una casa in campagna, un rifugio alpino, un albergo a cinque stelle, per un’ora o poco più.

Non ci baciammo. Non ci siamo mai baciati.

L’ho amata e desiderata più di mille altre: ma lei aveva sempre qualche amore, era sempre più avanti di me nel coraggio di amare, e a vent’anni sembrava così grande, così forte. Io non avevo niente: né le parole per affascinarla, né una casa dove portarla, un viaggio in cui trascinarla. Ogni volta mi facevi sentire un gran cretino: le cose che dicevo, le canzoni che ascoltavo, non c’era niente di adulto in me, niente di interessante.

Non me lo dicevi, ma lo sentivo. E in fondo, lo sento ancora oggi.

Non ero abbastanza rock, non ero abbastanza eroico e scontroso, non ero abbastanza bohémien e poetico, non ero coraggioso, o furente, o forse non ero abbastanza contro, non ero abbastanza allampanato, magro, nervoso, rivoluzionario. Lo sentivo in ogni tuo sguardo su di me, in ogni parola che ci scambiavamo.

Lo sono stato, forse, dopo, per la ragazza che stava a Torino. Quando prendevo il treno, la notte, e arrivavo la mattina presto in una città che per me era più lontana della Luna. Il treno era il mio Apollo 11, la mia missione impossibile, senza telefono, senza contatti con la torre di controllo, andavo e rimanevo due settimane.

Il viaggio era tutto al buio, nello spazio interstellare. Quando scendevo dal vagone a Torino Porta Nuova era un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per la mia vita, per il sogno di un amore, che non si sogna mai così forte come quando si hanno vent’anni.

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