Non è proprio un nuovo lockdown ma molto ci somiglia.
Un assaggio, dicono diversi analisti, del prossimo e più drastico DPCM. Quando, in virtù dell’inevitabile serrata, torneremo a fare scorta di lievito per impastare pane e pizze e a cantare dai balconi. Sempre ammesso che ritroveremo lo spirito di allora. Quando più o meno convintamente ripetevamo come un mantra ‘andrà tutto bene’.
Allora lo sguardo di mio figlio si fece triste ma rassegnato. Lui che all’odore stantio dei tribunali aveva preferito quello pungente del sudore degli allenamenti, in quel primo confinamento fu costretto ad abbassare la saracinesca della palestra (come tutte le attività cosiddette ‘non essenziali’) che gestisce col suo socio. In attesa di tempi migliori.
Poi a maggio, quando la curva dei contagi ha puntato verso il basso, con le riaperture, abbiamo ricominciato a sperare. E a lasciarci il peggio alle spalle. C’era la speranza di ricominciare. Di ripartire. Anche con l’aiuto, di là ancora a venire, del sostegno europeo.
L’estate poi ci ha fatto riassaporare la libertà. E tutti, chi più chi meno, ci siamo illusi di aver sconfitto il mostro. E se qualche grillo parlante osava ammonirci di non abbassare la guardia perché una seconda ondata sarebbe stata non solo inevitabile ma anche più virulenta noi, sprezzanti, gli abbiamo intimato il vade retro, uccellaccio del malaugurio.
Ci siamo ricongiunti, riabbracciati, ri-assembrati. Convinti, che ingenui siamo stati, di averla sfangata. Che le sofferenze, i bollettini di morte, le serrate, i confinamenti fossero ormai solo un ricordo. Un brutto bruttissimo ricordo. Da archiviare definitivamente. Insieme agli esperti ai comitati alle statistiche e talk show dove si dice tutto e il contrario di tutto. Nessuno o quasi credeva alla seconda maledetta ondata. Che puntualmente ha fatto la sua rentrée dopo la pausa estiva.
Mio figlio, dopo la chiusura forzata, aveva riaperto la palestra. Investendo soldi per sanificare i locali, contingentare gli ingressi, predisporre i dispositivi sanitari come da protocollo. Per poter garantire il distanziamento tra gli iscritti si era dovuto disfare di diversi macchinari, e fare a meno di alcuni collaboratori. Aiutato soprattutto dalla sua famiglia stava poco alla volta risalendo la china. Con fatica e molti sacrifici.
Ieri con l’ultimo DPCM, la nuova mazzata: il governo impone, tra gli altri provvedimenti anti-covid la chiusura di palestre e piscine. Nonostante nessun focolaio sia stato registrato in questi luoghi. E nonostante molti studi abbiamo attestato quanto l’esercizio fisico, praticato in maniera regolare, contribuisca a rafforzare il sistema immunitario. In palestra non si va solo per pompare i muscoli. Si va per la ginnastica posturale, quella riabilitativa, gli esercizi di rilassamento e corsi vari di pratiche sportive per giovani e meno giovani. Eppure nell’immaginario collettivo le palestre continuano a portarsi dietro stupidi pregiudizi duri a morire.
Ieri lo sguardo di mio figlio era iniettato di sangue. Non più rassegnazione ma rabbia. E voglia di spaccare tutto. Difficile dargli torto. Difficile non comprendere che quella saracinesca potrebbe non alzarsi più. Già diversi iscritti, durante il confinamento, si erano organizzati acquistando macchinari usati da utilizzare in casa, altri poi si sono dati al jogging, altri ancora si sono proprio ‘dati’, nel senso che sono evaporati, spariti. Del resto, quando il portafoglio piange, lo sport è percepito come un lusso. Un lusso di cui si può e si deve fare a meno. Da riprendere semmai quando quest’incubo finirà. Sempre ammesso che finirà.
Quello sguardo non mi abbandona. Mi segue dappertutto. Ci leggo la preoccupazione per il futuro di suo figlio di soli 10 anni, per le scadenze che a dispetto del lockdown arrivano puntuali, per lo spettro del fallimento dell’attività sempre più reale e incombente.
Come lui non mi capacito.
E mi domando se chi doveva provvedere abbia davvero agito ‘in scienza e coscienza’ o se la scelta di far pagare il conto solo ad alcune categorie non sia il frutto di uno scontro politico come riportato dai media nei giorni scorsi. E che a prevalere sulla decisione di chiudere palestre e piscine così come di cinema e teatri, altro stop nonsense, ci siano più motivazioni di carattere politico che scientifico. Dal momento che proprio in questi luoghi dove sono stati adottati e messi in pratica più che altrove tutti i protocolli sanitari e di distanziamento, non sono stati registrati casi di positività o focolai di nessun genere.
Uno stop che a dir poco lascia perplessi. Che mette ulteriormente in ginocchio categorie già fortemente penalizzate. Un’ ulteriore chiusura che poco o niente contribuirà a contenere la curva dei contagi. Un DPCM che ha tutta l’aria di un nuovo confinamento. Perché se non è proprio un nuovo lockdown molto ci somiglia
*Immagine tratta da La Repubblica
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