Omaggio a Fernando Botero, Nostra Signora de Cajica

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Nel libro Lezioni private 2, tratto dall’omonima serie di appuntamenti televisivi, capitolo 10, Vittorio Sgarbi si occupa di un argomento spinoso: la capacità di un artista di rompere e irrompere nella storia dell’arte, talvolta con mezzi limitati o comunque non esattamente confacenti a ciò che ci si potrebbe, o forse dovrebbe, aspettare.

Van Gogh, in questo senso, è uno degli esempi più eclatanti: a differenza di chi, la maggioranza, intende porsi nei confronti del pubblico in maniera gradevole e assertiva – in linea di massima, piace l’immagine dell’artista squattrinato, ribelle, fuori dagli schemi anche a costo di fare la fame, ma occorre ricordare come tale convenzione mentale corrisponda invero molto poco alla realtà; spesso, senz’altro ob torto collo, ci si piegava alla volontà di pubblico e committenti, come era naturale che fosse per ciò che, oltre ad un dono, rappresentava un mestiere e conseguente mezzo di sussistenza – sceglie tutt’altro modo di operare. Ed ecco che arrivano i colori sferzanti, le pennellate potenti, l’insieme diverso.

Van Gogh è così: diverso, senza alcuna velleità di uniformarsi a una pittura che non sente propria, e che nella sua obiettiva inferiorità rispetto a quella di colleghi dediti a linearità e perfezione, crea una bellezza differente.
Una sorta di anarchico dell’arte, concentrato sulla rappresentazione delle emozioni a prezzo di negare la tranquillità.

Non vuol essere come Monet, non condivide l’atteggiamento alla Renoir, uniformati ad una vita ordinaria e borghese, al contrario sperimenta: schiaccia i tubetti di colore direttamente sulla tela, attribuisce al sentimento una posizione prioritaria rispetto a tutto il resto.

Ed è la sua modernità a conquistare mito e anime; tormentato in vita quanto ammirato dopo la morte. Il riconoscimento dell’innovazione, che lungi dal presentarsi impeccabile, distrugge gli schemi di ordinaria classicità, per mostrare il nuovo.

Non il primo, e nemmeno l’unico, ma posto a diritto tra i più grandi, come chi ha compreso senza assecondare, imponendo a propria volta un punto di vista che deve essere accettato, non nel senso di apprezzarlo forzosamente, al contrario di capire come l’esistenza di un artista, a volte, corre su binari mentali differenti dai nostri.

La genialità della percezione, al di là di ogni convenzione, al di là di tutto.
E Fernando Botero è uno di quegli artisti che hanno intuito, capito, e mostrato.
Gigantesco, opulento, imponente: la chiave di volta di un modo di fare arte rendendosi, senza mezzi termini, assolutamente riconoscibili.

Si diceva dei Queen, sovente con una punta di invidia ‘totally recognizable’, si riconosce in altri cantanti. Da Manuel Agnelli a Gennaro Sangiuliano, da Carmen Consoli a Giusy Ferreri: ciò che conquista non è la perfezione, ma l’abilità nella distinzione, ed è proprio quella diversità a tratteggiare il reale manifesto di un’assenza di compromessi senza repliche.

Botero indovina il metodo nel mezzo, sfruttando ottime capacità pittoriche caratterizzate da inusitata dolcezza che decide di modulare distinguendosi da e tra tutti gli altri.
Non vuole rinunciare a quell’elemento figurativo di cui, giustamente, si compiace, ma intravede il cambiamento nel ritagliarsi una riconoscibilità caratterizzante. E ci riesce perfettamente.

Botero si dimostra all’altezza di perseguire quel complesso intento, proprio solo delle grandi personalità, refrattario ad una fuggevole esperienza di sporadiche manifestazioni, diretto a marchiare senza mezzi termini la convinzione trasposta in arte.
E sceglie il grasso. Una scelta scomoda, impopolare, in un mondo filiforme, impietosamente etichettatore e giudicante.

Ma Botero non ha paura, e gonfia a dismisura i suoi personaggi al limite del caricaturale – si divertirà a ‘correggere’ anche alcuni grandi capolavori, non ultimi I coniugi Arnolfini di Van Eyck, tra i dipinti più amati della storia dell’arte – e nonostante l’ambigua avversione che è conscio di poter suscitare, auspica la latente simpatia dell’inaspettato sorriso.

Genera esagerazioni, blandisce elogi, e la sua profondità è tale da sovvertire ogni critica, tanto da potersi permettere anche il ritocco del sacro, che nelle sue mani si trasforma in nuova immagine devozionale e condivisa. Mai irrispettosa, ed è il motivo per cui se lo può permettere.

Nostra Signora de Cajica, figura religiosa sudamericana ossequiante le origini colombiane dell’autore, è semplicemente perfetta nella sua monumentalità.
Domina e rincuora, tra gli sguardi rapiti di laici e religiosi che sostituiscono i consueti puttini, convertendo maestosa e accarezzando sorridente.

Moderna dea madre, nuova Venere Callipigia, trasposta in una dimensione religiosa di delicata, amabile accoglienza…

Fernando Botero (1932-2023), Nostra Signora de Cajica, 1972, olio su tela, 234.5×182 cm., Collezione privata
Immagine: web

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