Pandemia e ritiro sociale

di Maria Teresa Di Maio (psicologa e psicoterapeuta)

 La crisi pandemica che il mondo intero ha dovuto affrontare nell’ultimo anno e mezzo ha creato delle alterazioni nella vita di tutti soprattutto dei ragazzi in fase pre e adolescenziale.

Questo fenomeno ha un nome ben preciso, un termine giapponese che è entrato a far parte del linguaggio di noi psicoterapeuti. Il fenomeno si chiama  giapponese che significa letteralmente “ritirarsi” (Zielenziger, 2008).

Ritiro nel senso che i giovani si chiudono alla vita sociale, alle interazioni, passando il loro tempo in camera, guardando la televisione o giocando ai videogiochi.

Le relazioni con l’altro, intese come scambio fisico di gesti e a prole, viene sostituito dalla vita  virtuale,  dai social che oggi più che mai sono il loro canale preferito di scambio.

Spesso i nostri ragazzi adolescenti si nascondono dietro la tastiera di un computer o dietro una chat di un social; a lungo andare questo causa un’alterazione del ciclo sonno-veglia, un’alterazione del percorso di studio, compromissione della memoria a breve e lungo termine perché il numero di informazioni passa veloce e non ha il tempo di essere assimilato.

Nel tempo impatta anche nella ricerca di un lavoro perché non sanno più o non hanno mai sperimentato la relazione, la comunicazione con l’altro per parlare delle proprie competenze del proprio Sé e, inoltre, prolungare la solitudine contribuisce a quelle che sono le competenze sociali e le abilità comunicative che invece permettono lo scambio e l’interazione con l’altro/altri.

In merito ci sono diversi studi, molti dibattiti ancora aperti, che ritengono che uno dei fattori che spingono al ritiro sociale sia la richiesta di standard troppo elevati, di successo e di apparenza, per questi ragazzi che li portano ad un unico “sentire”, l’inadeguatezza.

 

La crisi pandemica ha acuito questo sentire.

 

L’adolescenza è un periodo della vita  delicato, una fase di transizione, dallo stato infantile a quello adulto, che pone le basi per creare l’indipendenza del singolo soggetto dalla famiglia di appartenenza. Si rispecchia nel gruppo dei pari e sono prevalenti le relazioni di amicizia (Bonino, 2018).

Con la pandemia tutto questo non si è realizzato o si è realizzato in maniera molto esigua.

I confronti sono stati possibili con i genitori che in questa fase non sono lo specchio delle loro esigenze e quindi ci si rifugia nel cellulare, nel computer. Viene a mancare però lo sviluppo dell’affettività, delle relazioni vere.

La loro stanza diventa una zona “sicura” dalla quale potrebbe non avere voglia di uscire sentendosi vulnerabile. I genitori in questo caso hanno un compito fondamentale, educare ai sentimenti, ai valori.

Il figlio che si trova nella camera accanto ha bisogno di essere accolto, di instaurare con loro un dialogo che funga da esempio per il dialogo con il mondo esterno. Tutto va fatto con la massima attenzione e delicatezza. I figli hanno bisogno di cercare la propria identità, di esperire il mondo, sia fisico che emotivo, ma di sapere anche e soprattutto di avere nei propri genitori un porto sicuro nel quale tornare e ripartire sempre, ogni volta che ne sentiranno la necessità.

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