Paolo e il suo sorriso triste

DI GIOVANNI BOGANI

Paolo. Tu aspettavi con me quel pulmino, alle otto di mattina. Tutte le mattine aspettavamo insieme, in quelle mattine d’inverno.

E parlavamo. Eri alto, magro, con un ciuffo di capelli neri disordinati. E a cinque, sei, sette anni te lo ricordi di che cosa parlavamo? Dello smog, dell’inquinamento, dell’ambiente.

Eravamo bambini strani, sì. In questa periferia dove c’erano ancora le fabbriche, dove c’era ancora la sirena delle Officine Galileo, dove d’inverno c’era una specie di nebbia, noi parlavamo delle fabbriche e dei veleni che spargevano.

Che cosa ne sapevamo? Dove lo avevamo letto o sentito? La parola “smog” era appena arrivata nel discorso comune, e noi ne parlavamo. Greta sarebbe nata più di trenta anni dopo, e i nostri discorsi si fermavano nel pulmino, non sono riusciti a cambiare il mondo.

Nel frattempo, miliardi di tubi di scappamento hanno avvelenato il mondo più di quanto non lo fosse, miliardi di sacchetti di plastica, miliardi di condizionatori d’aria, di detersivi, di aerei che hanno lanciato nel cielo le loro scie. Miliardi di bottigliette che tutti abbiamo bevuto e buttato.

Ma ormai io questo mondo non lo abito quasi più, abito solo una stanza e un tavolo, un computer e qualche parola. Assisto stupefatto allo sgorgare di odio quotidiano su Facebook e sugli altri social, a quel gocciolare continuo di unrespectfulness, di mancanza di rispetto verso tutti e tutto, a quel rovesciarsi continuo e immenso di pensieri irridenti, immodesti, pensieri arroganti che riescono sempre a sminuire l’altro, e alla fine riescono a sminuire tutto il genere umano.

Assisto sbigottito a questo tracimare continuo di disprezzo e di offese, a questa alluvione di melma bollente, a colata continua, giù dalle schermate blu di Facebook, da quelle di Twitter, da questa pancia dell’umanità che sta scoppiando, e schizza dappertutto.

Paolo, tua mamma era anziana. Era magra e triste, un po’ come te. Avevi un sorriso spento, già da bambino. Però sei riuscito a fare delle cose bellissime. Non so se hai fatto la scuola per infermieri o che altro, ma sei finito a lavorare in un ospedale, ti sei sposato, hai fatto dei figli.

Ti ho visto, un pomeriggio, al supermercato. Avevi un carrello grande, di quelli d’acciaio, non un cestino come me. Tua moglie, lì vicino, sembrava volerti molto bene. Mentre dicevamo qualche banalità, ti aspettava, discreta.

Paolo, spero tu stia bene. Chissà che cosa fanno i tuoi figli, chissà di che cosa parli con tua moglie, con quella voce quieta.

Chissà come accogli, come tieni le braccia ai tuoi pazienti, in ospedale. Chissà come li guardi negli occhi, con quel sorriso sempre un po’ triste che hai. Chissà come fai capire loro che siamo tutti nella stessa barca, e che il dolore fa parte del pacchetto.

scrignodipandora
Latest posts by scrignodipandora (see all)

Pubblicato da scrignodipandora

Sito web di cultura e attualità