Paolo Tagliaferro, Equlibri sospesi

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Iperrealismo, che supera il Realismo, e dopo aver posto le sue radici nella Pop Art degli Anni Sessanta, se ne allontana attraverso un’opera di ricerca incentrata sull’utilizzo meticoloso di tecniche volte a colpire, coinvolgere, sorprendere.

E se già la Pop Art aveva posto interessanti interrogativi – la popolare enciclopedia per ragazzi I Quindici, si interrogava retoricamente sulle opere in questione ed il loro significato, ipotizzando un’audace gara con la materiale fabbricazione in serie degli oggetti rappresentati – prontamente smentiti da un rivoluzionario Andy Warhol, volontario, strumentale emblema di un universo consumistico in essere e in divenire, il quale nella sua filosofia, dall’omonimo libro La filosofia di Andy Warhol, trae ed esterna il proprio concetto di cultore della Business Art.

Business Art: la migliore forma d’arte, definita il gradino subito dopo l’arte, suo personale, agognato obiettivo, dopo un inizio da artista commerciale.
Warhol rivendica un desiderio ad assurgere a businessman dell’arte o artista del business, identificando nell’essere bravi negli affari la forma d’arte più affascinante, criticando la cultura hippie ed il suo disprezzo per ciò che egli considera realmente una forma d’arte.

L’arte di far soldi e la celebrazione dell’America nell’aver dato il via al costume secondo cui il consumatore più ricco compra essenzialmente le stesse cose di quello più povero. Coca-cola per tutti, attori, Presidente, uomini d’affari, e nessuno di questi, nonostante soldi, fama e successo, in grado di permettersi una Coca-cola migliore del barbone all’angolo della strada.

Una filosofia ripresa, negli anni Novanta, anche dal cantante Holly Johnson, il cui brano musicale Americanos, nel presentare la tipica società americana, prodotto del sogno americano, non rinuncia a a sottolinearne sottilmente la subdola superficialità.

Punti di vista difficili e complessi, la cui esternazione in forme d’arte, pone domande e offre risposte. Non sempre convincenti: in bilico sul filo di lana di una pericolosa ironia attraversata da una feroce critica sotterranea.

E l’Iperrealismo, che dopo arriva e dopo si presenta al cospetto del pubblico, suscita ammirazione ma anche perplessità.
Ci si domandano scopi e motivazioni di quell’arte talmente sorprendente ed emotiva dal confondere sguardo e idee dello spettatore. L’osservatore, spettacolarmente colpito da una tecnica meticolosamente affascinante, non è quasi più in grado di valutare la differenza tra pittura e fotografia, nella continua ricerca di una perfettibilità assoluta senza più limiti, o che comunque, continuamente tenta di superarli. Il progressivo incedere di una maniacale, micidiale asticella, che ignora dove può arrivare e misconosce la volontà di farlo, ma nel frattempo si ispira all’affascinante pensiero filosofico di critica alla società contemporanea, ed alla sua conseguente pura rappresentazione dell’esperienza diretta.

E decide di procedere oltre.
Oltre la rappresentazione, oltre la precisione; rasentando l’inganno e prendendosi furbescamente gioco di sguardi, ammirati e attoniti, illusoriamente attratti in una nuova dimensione apparentemente volta ad esibire una tecnica limpida e impeccabile, ma nulla di più.

Ma non è così, e l’Iperrealismo si cimenta nel difficile scopo di utilizzare tecnica, colore e illuminazione, per spiegarne le implicazioni con la psicologia umana.

Giuseppe Sammartino, intorno alla metà del Settecento, realizza il Cristo velato: per secoli, quella straordinaria opera d’arte, susciterà stupore e perplessità, tanto da fomentare improbabili teorie su procedimenti alchemici tali da giustificarne l’incredibile fattura, e gli artisti iperrealisti, attualmente, subiscono un trattamento opinionistico simile.

Figure troppo perfette per essere frutto dell’abilità umana, secondo tesi assimilabili a quelle formulate riguardo ai celebri cerchi nel grano, immediatamente smentite da effettive, contrastanti testimonianze, eppure ancora lungi dallo sradicare pervicaci pregiudizi.

Ma gli Iperrealisti, fortunatamente, non si arrendono, e continuano a proporci e dimostrarci l’assoluta incomprensibilità di superficiali opinioni e facili pregiudizi.
Yigit Dündar, Conse Andechaga, il ‘cioccolato’ di Péter Duhaj, sono solo alcuni degli esempi dimostrativi in grado di rimettere in discussione ogni elemento del discorso.

E in Italia, in un panorama fervente e creativo come si conviene ad una caratteristica eccellenza, la corrente iperrealista riesce a coniugare la meraviglia estetica con le tradizioni autoctone ed europee.

Equilibri sospesi, opera iperrealista dell’artista Paolo Tagliaferro, classe 1981, è la evidente dimostrazione della fenomenale commistione tra la tradizionale conoscenza della tecnica della natura morta, che nell’animo dell’autore fonda le proprie radici in quella immortale caravaggesca, e la stupefacente resa di un’immagine realizzata attraverso l’utilizzo sopraffino di una lodevole genialità .

Creatività e talento si uniscono in un vigoroso scambio di intenti e manifestazioni, il cui scopo non si limita al desiderio di stupirne il fruitore, quanto di modularne il punto di vista percettivo in modo da trascenderne la più viva sensazione.

Tra riflessi di antico sapore fiammingo e concretezza reale di frutti visivamente tattili, l’artista modifica la prevedibile collocazione degli oggetti raffigurati per ricandidarne la definizione, assecondando un punto di vista innovativo e inedito.

Moderna Laputa in guisa di spettacolare castello nel cielo, strizzando l’occhio sia a Jonathan Swift che a Hayao Miyazaki, gli equilibri sospesi dell’opera regalano l’allettante visione di una iperbolica, onirica realtà, surrealmente assimilabile in un gioco continuo di concetti e impressioni da vivere, condurre e rielaborare…

Paolo Tagliaferro, Equlibri sospesi, 2023, olio su tela, 62×62 cm.
Immagine su gentile concessione dell’autore Paolo Tagliaferro Art Paolo Tagliaferro

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