Parlare di salare minimo garantito è un fatto di civiltà

di Michele Piras

In questo Paese ci sono tre milioni di lavoratori poveri, soprattutto giovani, donne, operai.
Gente che lavora e non ce la fa a tirare avanti, che si spacca la schiena con lavori precari, nei cantieri, sulle biciclette in mezzo al traffico.
Milioni che si aggiungono a chi il lavoro non lo trova, a chi l‘ha perso, a chi ha rinunciato a cercarlo, per disperazione e non per pigrizia.
In questo Paese abbiamo vissuto un trentennio tondo di politiche tutte concentrate sul contenimento salariale e sulla distruzione delle garanzie del lavoro.
Parlare di salario minimo dunque è un fatto di civiltà, una questione di minima ragionevolezza, in un contesto sociale abbruttito, disgregato.
Parlare d’altro è malafede, fumo negli occhi, l’ennesima guerra che si vuole agitare fra poveri, fra ultimi e penultimi.
Serve è come un salario minimo e serve un minimo garantito a tutti, che ridistribuisca una parte degli extra profitti di alcuni sulla maggioranza del Paese, che segni una linea sotto la quale non si può andare.
La linea della dignità e del rispetto.

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