Partito Democratico, cercasi identità da ricostruire

di Michele Piras

Trovo insopportabile la capacità della politica italiana di fagocitare e demolire speranze, sogni e bisogni di cambiamento.
Le dimissioni di Nicola Zingaretti hanno aperto una faglia gigantesca su un tema di discussione imprescindibile per il campo progressista e democratico: la rigenerazione, il rinnovamento, l’apertura alla società, il superamento della dialettica asfissiante fra ceti politici, correnti cristallizzate, centri di gestione del potere.

La (ri)connessione sentimentale con un popolo in frantumi, logorato da decenni di massacri sociali.
E questi sono, in fondo, i punti di criticità decisivi per una lettura seria del distacco colossale che si è prodotto fra la sinistra e il suo popolo.
E la rappresentazione che si vuole dare in queste ore (da alcune parti) di quel tentativo generoso di Zingaretti, che aveva avvicinato molte e molti di noi a un partito che non avevamo mai amato, è (essa stessa) una falsificazione non tollerabile del dibattito interno e pubblico sulla crisi del Partito Democratico.
Non si trattava infatti di rinchiudersi in una sorta di ridotta dell’identità di sinistra, ma di praticare apertura, fino in fondo e non per finta, a pensieri nuovi e persone nuove.
E il punto era proprio un’identità da ricostruire, in una piazza più ampia e grande, di quelle finora conosciute.
Quelle persone e quei pensieri che non trovano spazio né aria e che, se la scelta è conservare forme, pratiche e modalità di discussione logore e già sconfitte, di spazio non ne troveranno mai.
Quei temi e quelle esigenze e quelle persone restano lì, alla finestra di un’operazione incompiuta.
E valgono sia nella dimensione nazionale che in quella locale.
E quell’operazione non si compirà attraverso la normalizzazione, né intorno ai caminetti o nelle stanze chiuse dove i comandanti decidono senza nemmeno affacciarsi alla finestra e vedere cosa accade fuori.

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