Patrick McGrath, Follia

DI MARIO MESSINA

Vi sono libri le cui vicende si snodano lungo decenni o generazioni. Altri, invece, che presentano un arco temporale più concentrato. Questo non comporta assolutamente che possano risultare meno coinvolgenti.

È proprio in quest’ ultima casistica che rientra “Follia”, la cui narrazione copre esattamente un arco temporale di 365 giorni.
Un intero anno per chiudere un cerchio e decretare trionfi e sconfitte non preventivabili.

Se, come detto, il libro si presenta coinvolgente lo si deve essenzialmente alla sua particolare densità. Ricco di situazioni più che di descrizioni. Una densità che si configura come inversamente proporzionale alla sua pesantezza.
L’autore, infatti, non indugia in descrizioni puntigliose quanto fini a se stesse.

Non si trastulla nella ricerca di aggettivi o termini per descrivere cose o persone.
Narra fatti, accadimenti; stati d’animo e sensazioni.
Dando una immagine plastica degli eventi.
Nulla della singola pagina va così trascurato divenendo indispensabile ai fini della comprensione degli eventi.

Nel caso di specie la vicenda ha come sfondo il mondo delle case di cura per persone affette da disturbi psichici. La psichiatria diviene, così, il parametro attraverso cui ogni comportamento viene pesato ed interpretato. Anche all’interno dell’ambito strettamente domestico e familiare.

Non c’è cesura. Lavoro e vita si mischiano. Anzi la vita diviene il tarlo che si insinua nella corazza apparente che ogni psichiatra si dà.

Cosa avviene, pertanto, se la moglie di uno specialista del settore si innamora e scappa con uno dei suoi pazienti?
Umanamente come vivono i colleghi l’evento? La donna ammetterà la follia del tutto ritornando nell’alveo della razionalità?

È rispondendo a queste domande che si assiste, invece, ad un ribaltamento delle prospettive. Il marito diviene il vero malato. La moglie consacra il suo amore folle per l’eternità. L’amico, opportunamente, proverà ad approfittare subendo, invece, un clamoroso scacco matto.

Il tutto con una impietosa descrizione del novello malato: il marito strizzacervelli.
Un uomo “piegato dal peso immane della sua esperienza.

Un uomo che, cancellando il confine tra salute e malattia, prende su di sé, come Cristo, le sofferenze dell’ umanità”; che inizia a “tenersi lontano dalla vita rifugiandosi in letture filosofiche e misticheggianti”.

Un malato con cui fino ad un certo punto si può essere indulgenti e a cui non possono essere riconosciute le attenuanti proprie dell’uomo comune. Egli maneggia la materia. Dovrebbe saper gestire le proprie passioni e sofferenze.

Ne ha gli strumenti. Invece, ne diviene vittima. Passando dall’altra parte della barricata. Sconfitto dalla lucida follia di un amore perverso ma intenso.

Immagine tratta dal web

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