Per non affogare nella paura

DI MARIALUISA VILLA

Era l’inizio di uno dei periodi più bui della nostra esistenza, più di due anni fa. La pandemia era appena iniziata e tutti brancolavano spaventati, chiedendoci se quell’incubo nel quale eravamo piombati sarebbe finito e che cosa sarebbe stato delle nostre vite.

Quella mattina ero al lavoro, come ogni giorno. La grande distribuzione, come altri settori indispensabili, non si è mai fermata, neppure nel periodo peggiore, quando le persone morivano come mosche.

Io e il mio collega caricavamo i banchi frigo self-service. A un certo punto una signora si avvicina, ha una certa età, cammina un po’ curva. Chiede al mio compagno di lavoro: “per favore, dove sono i guanti usa e getta? Non li trovo…”
Lui l’accompagna per indicarle dove sono posizionati. Ma lo scaffale e vuoto.

Sono prodotti che, in questo momento, vanno a ruba e i punti vendita non riescono a soddisfare la richiesta. La nuova consegna non è ancora arrivata, e chissà se con essa arriveranno anche i guanti…e l’amuchina, l’alcool…tutto introvabile.
La signora è smarrita, ha le mani nude, è senza mascherina, dice che non sa come fare…

Il mio collega la prega di attendere un attimo e sparisce. Torna poco dopo con una manciata di guanti e una preziosissima mascherina. È roba sua, l’ha portata da casa, è riuscito per miracolo a trovare qualcosa chissà dove, perché il materiale scarseggia e chi ne trova lo porta e lo divide con i colleghi.

Ci si aiuta, perché siamo tutti nella stessa barca, perché non vogliamo ammalarci, perché cerchiamo di difenderci e difendere le nostre famiglie da questo nemico invisibile.

Per non affogare nella paura. Quando torniamo a casa ci togliamo le scarpe sul pianerottolo e poi corriamo in bagno per spogliarci e buttare gli abiti da lavoro in lavatrice con il disinfettante.

Per lavarci prima di avere qualsiasi contatto con il resto della casa e della famiglia. Combattiamo con le poche armi che abbiamo.
La signora si illumina, prende quel regalo come fosse oro, si commuove, ringrazia e se ne va.

Lui riprende il lavoro, mi dice : “poverina, deve essere sola…”.
Ci guardiamo, non parliamo, ma i nostri occhi dicono tutto. C’è la tenerezza, il turbamento, il dolore, la rabbia, il senso di impotenza.

È un breve ma lunghissimo attimo, poi gli occhi si abbassano, si torna a lavorare, perché non bisogna arrendersi.
Mai.
Si deve andare avanti, bisogna lottare.
Sempre.

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