Perché parliamo ancora di violenza di genere?

DI MARIA RONCA

 

Il fenomeno del femminicidio è una questione complessa. Nei dati emergono l’allarme e l’urgenza a intervenire prima e dopo.

Nelle storie abbiamo il quadro chiaro di come nasce e si evolve la violenza.

Il termine “problema” porta con sé una serie di percezioni sbagliate e fuorvianti per la forte tendenza a sottovalutare e, tante volte, a negare il fenomeno, a volerlo contenere nella sfera privata, fatto sta che uomo o donna che sia la questione è di tutti e come tale abbiamo il dovere di conoscerlo e contrastarlo in maniera determinante.

La questione va approntata sui diversi piani: personale, culturale, sociale ed economico.
Nelle storie di violenza ci sono anni di abusi, meccanismi logoranti, personalità disturbate, sentimenti contrastanti, traumi e questioni non risolte.

Rilevanti l’immagine e la considerazione della donna, considerata come oggetto, la negazione e l’affermazione dei diritti, la cultura e la società.

È una questione di cambiamento. Un cambiamento lento e graduale che parte dall’educazione, dal rispetto e dalla parità di genere.
Prima di tutto, la resistenza è di tipo culturale.

Il matrimonio è un vincolo, un concentrato di responsabilità, d’impegni, di privazioni, di prigionia.

È come se in esso trovassimo la limitazione alla libertà personale. C’è una subcultura che resistente e permea le nostre esistenze e la vita di coppia.

Quali sono ancora i modelli, i comportamenti e il linguaggi che resistono?

Il materiale umano contiene gioia e dolore, ansie e aspettative, crescita e fallimento. Nel fare spazio all’altro si fa fatica, si pone uno scalino di troppo, tu sei, non sei, tu fai, non fai, lo sguardo è dall’alto verso il basso.

Le crisi, i disagi, i conflitti nascono dentro la coppia e non muoiono se non si affrontano, se non si conoscono i motivi per risolverli e rinsaldare il legame di reciprocità, di fiducia e di rispetto.

C’è tolleranza, comprensione e collaborazione? All’interno della coppia si dialoga a sufficienza, si è leali quando le cose non vanno bene? Si sa gestire il conflitto? Ci sono le uscite di sicurezza in caso di?

Perché spaventa ancora parlare di divorzio, perché si deve percepisce la fine di un fidanzamento o di un matrimonio come un fallimento, una sventura, un peccato mortale?

Perché vivere storie allucinanti, privarsi della felicità, della responsabilità personale di cambiare vita, il rimedio c’è.

Si chiama percorso, consapevolezza. Nulla è per sempre. I distacchi dolorosi si accettano perché possiamo cambiare idea, possiamo diventare altro, ma non è giusto imporre con violenza fisica e psicologica il nostro fare, umiliare una persona perché non l’amiamo più.

Viviamo inferni dorati, appannaggio di lavaggi del cervello consolidati in famiglie e scene da Medioevo.

Che senso ha mentire, vivere a metà l’amore, la libertà in convivenze forzate a quale prezzo, a dimostrazione di cosa? Perché?
Non sono forse queste resistenze a bloccare?

La violenza è la risposta incompleta, la reazione spropositata, l’incapacità all’imprevisto, la paura delle conseguenze.
Prima di arrivare alla violenza vediamo palesati i danni cagionati a sé e agli altri?

Abbiamo la coscienza critica a sapere cosa è buono e cosa è male, a trovare le soluzioni che ci fanno e fanno stare bene? Dedichiamo davvero il tempo alle relazioni, alla famiglia o siamo concentrati troppo su noi stessi?

Siamo in grado di tenere a bada gli istinti prevaricatori, di giudizio verso le nostre stesse azioni, conosciamo le conseguenze e le ripercussioni delle nostre scelte sugli altri?

Perché vivere d’ipocrisie, di fantasie, di rischio se posso decidere di chiudere e riaprire un altro capitolo di vita e ricominciare di nuovo in tranquillità e in pace?

Ci sono mancanze nei passaggi della vita, ci sono traumi non risolti, assenza di comunicazione, incompatibilità caratteriali, modelli di riferimento sbagliati che influenzano negativamente e non ci fanno vedere altre opportunità.

La violenza si apprende e si replica. Se siamo una società violenta, vuol dire che sono saltati gli anelli di congiunzione, i riferimenti importanti e le regole condivise.
I ruoli hanno personificato potere e soldi. È più importante sapere quanto guadagni o sei soddisfatto della tua vita?

Come ti vesti o se stai bene? Come ti vedono gli altri o come ti vedi realmente tu?
Una donna in carriera o una donna casalinga non stanno su due piani differenti. Ognuna ha un ruolo. Nessuna considerazione minoritaria o di valore.

Sono donne e basta.
Il corpo di una donna non è un oggetto del desiderio e di scambio. La comunicazione qui a un ruolo determinante nel non creare pubblicità sessiste, nel non far passare messaggi svalutativi, di giudizio e pregiudizio.

Le donne sono un peso in una società di uomini, non sono mantenute, non sono non intelligenti o non capaci.

Subiscono in silenzio, pensano al bene della famiglia, diventano come le tartarughe, come i ricchi, proteggono prole e mariti, aculei affilati in caso di pericolo, per non difendersi fisicamente muoiono per mano di uomini senza Dio e senza cuore.

Guai ad accusarle di vittimismo sarebbe offensivo per chi voce non ha, per chi non c’è più. Invece, mi chiedo se hanno imparato, le donne a solidarizzare? A non fare come gli uomini? Perché a volte, la violenza al femminile esiste e come e lo sia nei confronti degli uomini che delle donne.

E anche noi donne non dobbiamo dipendere da nessuno, bastare a noi stesse, a non elemosinare amore, a volerci bene di più, a non accettare compromessi, a non farci manipolare, a vivere relazioni sane, senza impedimenti e tradimenti, a difenderci non avendo paura della solitudine, dei ricatti, dei sensi di colpa.

Quando parliamo della violenza parliamo di persone, di sentimenti e di emozioni. Sul piano culturale e sociale dell’interazione con l’altro e l’ambiente circostante.

Sul piano economico-lavorativo delle condizioni che favoriscono l’autonomia, l’indipendenza e la propria autodeterminazione.

Sul piano concreto di non arrivare mai alla violenza se tutto può essere contenuto sul piano dialogico e risolutivo, ponendo in essere quelle libertà personali che abbiamo conquistato in anni di battaglie come il divorzio e le consulenze specialistiche che ci fanno trovare la giusta strada, per stare bene con noi stessi e con gli altri.

Abbiate cura di voi, sempre. Nessuno fallisce pensando a quanto bene si fa con la prospettiva delle mille e mille opportunità.

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