Presunti maltrattamenti a scuola: il ruolo chiave del dirigente scolastico

di Vittorio Lodo D’Oria

Il rapporto scuola-famiglia non gode di ottima salute in quanto le due agenzie educative hanno deteriorato i loro rapporti a far capo dal famigerato ’68. Coi decreti delegati del ’74 si cercò di imprimere una svolta che, ad anni di distanza, si è rivelata un insuccesso. Le riforme e le scelte politiche operate nel mezzo secolo appena trascorso hanno definitivamente contribuito a ridurre in macerie la professione docente: salari minimi, insegnanti anziani, “previdenza miraggio”, contratti scaduti, reputazione svilita, salute professionale negletta e via discorrendo.

Va da sé che la pessima intesa tra scuola e famiglia va a scapito di tutti: alunni/studenti, genitori, docenti.

Da ultimo è comparso anche il singolare fenomeno dei Presunti Maltrattamenti a Scuola (PMS) cui è difficile dare una spiegazione razionale. La scuola risulta infatti essere a tutti gli effetti l’ambiente più sicuro per un bambino, a dispetto delle mura domestiche dove avvengono i gravi “fatti di sangue” riportati dalla cronaca nera. Resta inoltre un mistero perché, fra tutti i paesi occidentali, questo fenomeno abbia luogo nella sola Italia.

Difficile anche da capire perché dei genitori, convinti che i propri figli siano malmenati, umiliati e tiranneggiati dalle loro maestre, per avere giustizia si rivolgano all’Autorità Giudiziaria con i suoi tempi biblici (mesi) anziché al dirigente scolastico che ha il dovere e il potere di intervenire tempestivamente.

Tuttavia, sempre più frequentemente, ci troviamo di fronte a casi di PMS in cui il dirigente scolastico, avvisato dai genitori o direttamente dall’Autorità Giudiziaria cui è stata sporta denuncia, si dichiara totalmente all’oscuro dei disdicevoli episodi verificatisi nella sua scuola e finisce col costituirsi parte civile nel processo contro le sue stesse maestre indagate.

Prendiamo ora in esame proprio quest’ultimo atteggiamento posto che, oltre a poter intervenire tempestivamente, il preside ha la diretta responsabilità sull’incolumità degli alunni, la tutela della salute dei docenti ed è infine referente per il rapporto tra famiglie e istituto.

Dobbiamo innanzitutto ripassare i doveri del preside nei confronti dei suoi subordinati per valutare, di conseguenza, se abbia un senso la “costituzione di parte civile” nel procedimento penale.

La prima questione interviene nel preciso momento in cui alunni o genitori denunciano al preside comportamenti maltrattanti da parte della maestra. A riguardo vi sono due scuole di pensiero di cui la prima vuole che il dirigente, “nella sua veste di pubblico ufficiale, ha l’obbligo di denunciare una notizia di reato (art. 331 c.p.p.)”.

La seconda (che si ispira al 2° comma dell’art. 40 del c.p.) predilige invece l’intervento del preside con i mezzi a sua disposizione perché “non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo”. Non vi è dubbio che sia proprio la seconda via quella da prediligere per evidenti motivi: a) l’intervento a tutela della piccola utenza, verosimilmente esposta ai PMS, richiede un’azione tempestiva che non può attendere i lunghi tempi di un’indagine giudiziaria; b) l’azione tempestiva può essere garantita ed esercitata esclusivamente dal dirigente scolastico con i mezzi a sua disposizione (vigilanza, controllo, affiancamento, sospensione, accertamento medico, sospensione cautelare etc); c) le denunce effettuate direttamente dai bimbi vanno verificate almeno quanto quelle de relato dei genitori perché, come sostenuto dal legale di una maestra, “all’Autorità Giudiziaria (AG) deve essere sporta la denuncia di un reato e non di gossip o di un fatto qualsiasi”; d) la pronuncia di un’eloquente sentenza della corte di Cassazione pare dirimere il contrasto tra gli articoli di legge sopra citati: “deve essere confermato l’arresto della dirigente scolastica per il reato di maltrattamenti ai danni di alunni della scuola, ove l’indagata svolgeva le proprie funzioni di direttrice, allorché sia emerso dall’istruttoria che la stessa aveva omesso di esercitare i poteri di vigilanza, controllo, segnalazione e denuncia, non impedendo così i maltrattamenti agiti da altra insegnante – Cassazione n°38060 del 18/07/14”.

Non è affatto casuale la sequenza con la quale la Suprema Corte richiama i doveri della dirigente che sono nell’ordine la vigilanza, quindi il controllo, poi la segnalazione e, solo da ultimo, la denuncia. In altre parole, la Cassazione conferma che il dirigente scolastico è investito di un ruolo e possiede precisi compiti da svolgere cui non può derogare limitandosi a fare da passacarte delle altrui denunce.

L’intervento tempestivo e appropriato del dirigente scolastico ha dunque il triplice vantaggio di tutelare immediatamente i minori, affrontare la questione con persone addette ai lavori operanti in ambiente scolastico e – da ultimo – non comportare costi extra per indagini e procedimenti penali.

Torniamo ora alla domanda iniziale dopo aver chiarito che: “Si dice costituirsi parte civile quando la persona offesa o danneggiata da un reato interviene nel processo penale contro l’autore dell’illecito per chiedere che quest’ultimo sia condannato (non solo alla pena prevista dall’ordinamento, ma anche) al risarcimento dei danni (sia morali che materiali) subiti in conseguenza del reato”.

Ha dunque senso che un dirigente si costituisca come parte civile pur avendo il compito di vigilanza, controllo, segnalazione ed eventualmente di denuncia? Non c’è il rischio paradossale che finisca col denunciare il proprio operato di mancata o inefficace/superficiale vigilanza? Non suona infine come un evidente accanimento contro i suoi stessi subordinati cui magari sono mancati proprio il controllo, la supervisione ed eventualmente anche l’attività di prevenzione dello Stress Lavoro Correlato?

Non stiamo mettendo ulteriore ruggine tra docenti e dirigente scolastico, anziché lubrificare i rapporti tra lavoratore e datore di lavoro che risultano per loro natura complessi? Il dibattito è aperto.

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