Pur di riempire quel vuoto

DI MARIAESTER GRAZIANO

Graticolano parole. Sento puzza di bruciato.
Girano amori svelti consumati sotto l’occhio di un grande fratello cosmico con la benedizione dei like, divorati in fretta dallo stomaco freddo della digestione cibernetica. Sono già passati, congelati in un sempre. Un mai. Fa lo stesso. Il tempo è un’app scaricabile a proprio piacimento. Ma è passato di moda.

Anche il dolore rischia di subire la stessa sorte, refrigerato in piccoli cubetti di ghiaccio da sorbire in un aperitivo dolcificato e variamente alcolico.
Si consumano pacchetti emotivi veloci, da microonde.

Installazioni pionieristiche del piacere puntuale si insediano negli happy hours. Gente colorata. Coriandoli allegri che provano a credersi pezzi di un puzzle, indispensabili.
Finito l’happy hour si ricomincia col piagnisteo delle lamentele già sfruttate: la politica, la situazione economica, la famiglia.

Gli amori obliterano un passaggio per una distrazione senza sorprese. Alcune coppie si allignano dietro ripicche subdole, fatte di
sguardi.

Tentano la conta delle gelosie reciproche per sentirsi importanti. Altre coppie mostrano un’indifferenza reciproca. Ne hanno abbastanza l’uno dell’altra. Si trattengono insieme solo per farsi dispetto.

Giocano a far la guerra senza rischio di morire, come da bambini. Anche io e mia moglie eravamo così. Eppure la fine non è mai davvero concepita come realtà. La fine vera, nonostante le prove allestite in precedenza, arriva sempre come devastante.

Immagine tratta da Pixabay

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