Quando l’indifferenza diventa odiosa

DI MARIA RONCA

 

“Odiosa indifferenza”: Lo diceva Antonio Gramsci e lo ribadisco io, sostenitrice della cultura della non violenza.
Le parole scritte con il sangue fanno un certo effetto, certo! Ci stiamo abituando alla violenza e questo non va bene.

Dinanzi a un altro femminicidio non si può certo rimanere indifferenti.
Far finta che il problema non esista. Esiste e ha numeri da paura. È come vedere interi paesini rasi al suolo.

Drammi familiari ed impatto sulla società: bambini orfani di madre, genitori privati di figlie, donne tradite dal proprio compagno o marito.
L’orco ha le chiavi di casa, si spaccia per un Sant’uomo.

Mi chiedo come fa a camminare su doppi binari, incapace di fare una scelta, ad avere la compiacenza di un’altra donna che, subisce a sua volta?
Mi chiedo quanto amore può donare e come si fa a progettare “un’altra vita”,
pensando di uccidere sua moglie?

E l’altra donna, Santo cielo, a bersi il veleno di una relazione clandestina fatta di sorsi d’affetto e accontentarsi di briciole cadute dal piatto di un’altra donna? Si è persa la bussola?

Abbiamo percezione che il matrimonio non è una costrizione, un abominio, una privazione, e se lo è, perché continuiamo relazioni malate? È forse, l’incapacità a non accettare la fine di rapporto oppure che la società ancora influenza le scelte e i comportamenti?

Allora, se lo è occorre fare una sensibilizzazione a tappeto. Non bastano l’8 marzo e il 25 novembre o sporadici incontri e convegni. Occorre sradicare il problema dall’origine.

Sensibilizzare non solo i singoli, ma le famiglie, i giovani a scuola; educare al rispetto, alla differenza di genere a responsabilizzare la coppia a prendersi cura l’uno dell’altro, a collaborare in casa e a prendersi cura insieme dei figli, a ritagliarsi degli spazi, a capire qual è la giusta distanza per non soffocarsi, a usare responsabilmente la tecnologia, a parlare, a discutere, a rispettarsi e a prendersi le dovute pause riflessive, che non guastano a riequilibrare il rapporto.

L’amore è un sentimento che può mutare nel tempo, la paura può inchiodare, i pregiudizi possono bloccare, ma la fine di un rapporto non deve essere vissuto come un dramma. La società deve propinare messaggi diversi ed educare alla relazione sana.

Quando una donna tenta di denunciare, dall’altra parte deve trovare persone, non carte e paure indotte, l’uomo, a sua volta, deve essere seguito e non lasciato da solo a progettare la vendetta.

Queste storie rimarcano ciò che non funziona nella società tutta, è il sintomo che certe pratiche sono obsolete. Allora stiamo a guardare alla mattanza, senza cambiare la cultura radicata e cristallizzata? I servizi sociali, le forze dell’ordine, gli ospedali, le scuole, le associazioni, le comunità devono avere strumenti per agire non arginare.

Cosa trasferiamo sostanzialmente?
Pubblicità ingannevoli, giochi violenti, frasi deplorevoli che offendono la dignità femminile, modelli maschilisti, differenze persistenti.
La verità è che la violenza non è insita, è appresa.

Per cui se pensiamo a debellare la “moria delle vacche” partiamo da una politica seria di incontri con esperti e attivare servizi ad hoc qualificati e continui sui territori, impiegare le tante professionalità rimaste a casa, anche a causa di politiche che, in buona sostanza, non hanno mai concretizzato la pari opportunità.
Maria Ronca, Sociologa

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