Quando sono le piante a disegnare il nostro futuro

DI DANTE IAGROSSI

 

Stefano Mancuso, docente all’Università di Firenze, direttore del LINV, (Laboratorio Italiano di Neurobiologia Vegetale), uno dei massimi esperti mondiali di questa nuova disciplina, in ogni pubblicazione ha mostrato il suo entusiasmo viscerale per il mondo delle piante, evidenziandone le insospettabili capacità e notevoli potenzialità.

Il suo “Revolution plant”, in una veste grafica davvero accattivante ed elegante, costituisce un’esplorazione appassionata di vari aspetti dell’universo vegetale, alla ricerca di prospettive positive d’impiego nel futuro.

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Comunemente considerate come passive ed insensibili, in realtà le piante addirittura sembrano possedere una specie di memoria tutt’altro che breve, presupposto fondamentale di apprendimento e quindi di “intelligenza”.

Ad esempio, certe piante come la Mimosa pudica, se toccate richiudono le foglie, forse per una forma di difesa, ma poi, dopo vari contatti, non lo fanno più, come se consapevoli della mancanza di vero pericolo.

Anche se in generale non si possono spostare, comunque sono in grado crescere e muoversi, in risposta alle varie condizioni ambientali, con molti tipi di tropismi, verso la luce, l’acqua, la gravità, ricercando le sostanze utili e rifuggendo da quelle nocive nel terreno.

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Ispirati da esse sono stati ideati e costruiti dei robot, plantoidi, aventi nella parte superiore cellule fotovoltaiche per la produzione di energia, in quella inferiore appendici-sensori, come radici, capaci di esplorare territori anche lontani e difficili, come il suolo di Marte.

Alcune piante, in particolare la Boquilla trifolata, dimostrano inoltre notevoli capacità mimetiche, cambiando la forma delle foglie, tra altre di specie diverse, per ottenere più protezione da insetti nemici.

Appare probabile che certe piante, come la Veccia, dai semi somiglianti alla lenticchia, e la Segale,con spighe molto simili al grano, nel corso dell’evoluzione siano persino diventate non facilmente distinguibili da quelle più coltivate, forse per ottenere più cura ed acqua come esse.

Oltre ai movimenti attivi, dovuti a flussi osmotici nelle membrane cellulari, come l’apertura di stami e fiori e quelle di piante carnivore, ci sono quelli passivi, causati da variazioni di umidità di parti della parete cellulare, come l’apertura di pigne in ambienti secchi e la loro chiusura in quelli umidi.

Probabilmente la pianta più sorprendente è l’Erodium, che non solo arriva a far “esplodere” i suoi semi, ma anche ad “infilzarli” ad una certa profondità nel terreno.
Le piante hanno anche stabilito varie alleanze con gli insetti per l’impollinazione e dispersione dei semi regalando, loro il nettare dolce e nutriente dei loro fiori.

Eppure ci sono molte specie che producono un altro nettare extrafloriale, cioè esternamente ai fiori. Il motivo fu spiegato dal grande botanico Delpino, che non approvava una spiegazione errata di Darwin: attrarre insetti amici, ma predatori di quelli nemici della pianta.

Addirittura in questi nettari sono state trovate anche sostanze che agiscono come droghe, con cui le piante inducono una specie di dipendenza! Quindi a volte le piante si comportano in modo insospettabile e astuto, se non proprio spregiudicato, per la loro sopravvivenza: assicurarsi guardiani fedeli, che arrivano persino a nutrirsi di piante concorrenti vicine!

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Una delle differenze sostanziali tra animali e piante è la diversa organizzazione del corpo, centralizzata nei primi e modulare nelle altre, che consente ad esse possibilità di vita molto maggiori in caso di usure e perdite di parti.

In particolare l’apparato radicale, nell’esplorazione dei terreni, si comporta come gli sciami di insetti sociali, sistemi perfettamente funzionanti e coordinati senza alcun centro di comando, tipo efficienti reti Internet.

La struttura di certe piante, come quella delle nervature di foglie della Victoria amazzonica, ha già ispirato le costruzioni suggestive di vari architetti. Straordinarie sono anche le particolari capacità delle piante di adattarsi ad ambienti estremi come i deserti,sottoposti a temperature molto alte di giorno e molto basse di giorno.

Hanno infatti risolto il grave problema della traspirazione, trasformando le foglie in spine, che nelle ore notturne riescono a condensare l’umidità, procurando l’acqua necessaria. Da qui un architetto italiano ha realizzato il Warka Water, dalla forma di fico gigante, racchiuso da reti speciali per la raccolta di acqua condensata dall’umidità.

Si parla da tempo di prolungate permanenze nello spazio e su Marte e, secondo Mancuso, questo non sarà possibile se non affidando il nutrimento a lungo termine alle piante, per cui sono stati fatti vari esperimenti su di esse in condizioni di microgravità: esse hanno mostrato di adeguarsi persino in queste situazioni estreme.

Nell’ultimo capitolo si parla delle piante alofite che riescono a sopravvivere usando solo acqua salata. Questa loro caratteristica importante potrebbe essere utile tra non molto tempo, quando le già esigue riserve di acqua dolce potrebbero ulteriormente ridursi.
Mancuso, insieme ad una coppia innovativa di architetti, ha costruito un ingegnoso dispositivo galleggiante, il Jellifish Barge, che permette di coltivare ortaggi usando soltanto acqua marina, dissalata per evaporazione e condensazione, tramite la sola energia solare.

Purtroppo finora questa macchina prodigiosa ed ecologica, con risparmi enormi di energia, non ha avuto un adeguato supporto dai possibili investitori industriali.

 

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