QUELLO CHE DA RAGAZZI SI IMPRIME NELL’ANIMA, RIMANENDOVI PER TUTTA UNA VITA

DI FLORA CROSARA

Avrò avuto quindici o sedici anni. Frequentavo la quinta ginnasio e per età appartenevo alla categoria sportiva “juniores”. Allora i vincoli erano stretti e chi faceva sport, anche in ambito scolastico, poteva partecipare a gare solo con gruppi di categoria.
Io ero brava nello sport. Oltre all’italiano (a dire il vero, non ero molto compresa dall’anziano professore che ha sempre penalizzato i miei scritti), la storia, la filosofia e il tedesco, discipline che amavo, l’educazione fisica era la materia scolastica nella quale riuscivo meglio. Ogni esercizio, ogni prova erano per me puro divertimento. Eseguivo con facilità i movimenti: ero dotata di coordinazione, agilità e ritmo.
Gli allenamenti pomeridiani avvenivano nel gruppo sportivo due volte la settimana, tre in prossimità delle gare. Offrivano occasione di stacco dallo studio che era impegnativo e intenso. La partecipazione a queste attività era legata al rendimento dunque, se mai questo nella settimana fosse risultato “traballante”, non avrei ricevuto il permesso di partecipare. Perciò mi davo un gran da fare per studiare, avere buoni voti e poter essere sempre presente in palestra. E non senza fatica, siccome in alcune materie incontravo qualche difficoltà. La matematica ostica e lontana dalle mie corde era un supplizio, per fortuna mia sorella che frequentava il Liceo Scientifico mi dava una mano . L’obiettivo degli allenamenti erano i Campionati Studenteschi nei quali la sfida finale era quasi sempre tra gli studenti dei due licei – Classico e Scientifico – talvolta con gli studenti dell’ Istituto Tecnico. Per lo più vittoria era appannaggio di una delle due squadre liceali, comunque brave in ogni settore, dalle gare individuali ai giochi di squadra.
La mia attività preferita era la pallavolo ma l’insegnante mi inseriva in ogni squadra: ero una sorta di passepartout e io ne gioivo. Quanti bei ricordi.
Accadde proprio in quell’anno del ginnasio che nel gruppo delle seniores – formato da studentesse dalla prima alla terza liceo – mancasse il numero richiesto per creare la squadra. Affannata, la docente che era molto ambiziosa, dichiarò subito che “non si poteva non partecipare!” Pertanto chiese autorizzazione all’Ufficio dello sport per utilizzare allieve più giovani. Ma il responsabile, severo e intransigente, fu irremovibile. Pretese che la prima squadra fosse formata da sei giocatrici titolari di età richiesta e tre o quattro riserve, pari età. Le riserve c’erano ma erano ragazze che si erano allenate poco. Servivano due giocatrici brave, che sapessero il fatto loro, che andassero in campo con capacità tecniche e grinta. La notizia si diffuse tra noi studenti e la reazione fu di forte preoccupazione: avremmo rischiato di perdere a tavolino.
La mattina seguente fui convocata in Presidenza dove mi recai , in ansia c insieme ad Anna, studentessa nella mia stessa condizione. Le chiamate in quel luogo riservavano sempre notizie poco rassicuranti. La Docente mi accolse con il Preside che mi spiegò la situazione, proponendomi di entrare a far parte della squadra seniores. Egli stesso aveva chiesto una deroga ottenendo che io ed un’altra compagna, nate entrambe in gennaio e quindi prossime a compiere l’età richiesta, potessimo partecipare. Ottenendo il consenso ora dipendeva solo da noi accettare. Ci guardammo, Anna ed io, stringendo un’intesa silenziosa.
Accettami con il cuore gonfio di orgoglio: era la prima volta che qualcuno mi riconosceva capace di qualcosa. E soprattutto me lo diceva. Dimostrava di credere in me. E non ero sola, Anna era con me.
Per un’adolescente sensibile e insicura come ero io, quel riconoscimento rappresentò una cosa importante.
Presi ad allenarmi con la squadra delle seniores, le più grandi. Ero un po’ intimorita ma decisa a far bene. Con me c’era sempre Anna: ci facevamo coraggio a vicenda.
Arrivò il calendario con le date del torneo. Il campionato iniziò e partecipai ad una serie di incontri con gli altri istituti superiori. Al termine delle gare risultammo vincitrici con punteggio pieno, accedendo alla finale. Il giorno arrivò. Si incontravano i Licei, Classico e Scientifico. Il Palazzetto era stracolmo di studenti con campanacci, raganelle e striscioni. Un tifo degno di una partita di serie A. Ne sento ancora il frastuono e l’eco.
L’andamento dell’incontro fu regolare, favorendo a tratti noi, a tratti loro che pure giocarono la loro partita con capacità e forza. Noi fummo superiori. Le due più giovani emersero: Anna aveva una schiacciata fenomenale, io un servizio preciso e una battuta imprendibile che fiaccò le avversarie, più e più volte.
Nell’ultimo set recuperai ben sette punti su battuta. E poi realizzai l’ultimo, indispensabile per sancire la vittoria e portare a casa la coppa. L’esultanza della prof di educazione Fisica fu esplosiva. Era rimasta in silenzio, seduta, quasi rannicchiata sulla panchina per tutti i set. Ci aveva lasciato fare, fidandosi delle nostre capacità. L’avevamo ripagata.
Il trofeo era ambìto e lo apprezzai, ma quello che ricordo maggiormente fu la mia soddisfazione personale per aver vinto la timidezza ed aver espresso ciò che sapevo fare. Tutto questo lasciò un segno, una forte impronta. Crebbi, in sicurezza e determinazione.

Sono convinta che la mia strada professionale prese forma in quel pomeriggio, al Palazzetto Comunale di Via Gerbi, nella mia città.
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Chiara Farigu

Pubblicato da Chiara Farigu

Insegnante in pensione, blogger per passione. Laureata in Scienze dell'Educazione, ama raccontarsi e raccontare l'attualità in tutte le sue sfaccettature. Con un occhio particolarmente attento al mondo della scuola e alle sue problematiche