Radio Story: quando il ‘bigrigio’ era nelle prime radio libere l’unico contatto con l’esterno

Da quell’apparecchio passava di tutto: chiamava la ragazza infoiata che voleva assolutamente conoscerti, affascinata com’era dalla tua voce, la ragazzina che ogni mattina ti augurava il buongiorno prima d’andare a scuola, la vecchietta che dalla casa di riposo ipotizzava un improbabile fidanzamento.

Senza contare le richieste e dediche musicali che arrivavano a pioggia e servivano a misurare la situazione in fatto di audience: se il telefono non squillava, era cattivo segno. Poi ti chiamava l’editore per sapere se era tutto a posto, il piccolo inserzionista arrabbiato perché il suo spot non lo sentiva mai e il ragazzo che scambiando la radio per un jukebox mentre faceva una festa voleva che gli mettessi lo stesso brano per due volte di seguito.

A cicli regolari arrivava l’incazzatura dell’editore per la bolletta telefonica troppo alta. Il tentativo di inserire il lucchetto per limitare le chiamate onerose si rivelava infruttuoso, uno perché il lucchettino si apriva facilmente, due perché l’incaricato di custodire la preziosa chiavetta in caso di necessità, si metteva a chiamare pure lui e spesso lasciava l’apparecchio libero dall’inutile orpello.

In mezzo a tutto questo il povero conduttore doveva barcamenarsi nella messa in onda fra i dischi da preparare e le cassettine con gli spot e le pubblicità da inserire. Ricordo colleghi che riuscivano a intessere via telefono le relazioni più disparate, mentre erano in onda e durante tutta la durata del loro programma senza commettere il benché minimo errore, mi chiedo come facessero!