Ricetta Clima: si salvi chi può!

DI FABIO BORLENGHI

 

Era il 1992 quando a Rio de Janeiro iniziò la lunga serie di meeting internazionali sul problema del riscaldamento del clima, o global warming.

Seguì il ben noto Protocollo di Kyoto del 1997 che rappresentò un momento storico per la lotta ai cambiamenti climatici, con molti paesi intenti a sottoscrivere importanti impegni sulla riduzione delle proprie emissioni di CO2 in due diversi intervalli temporali, il primo con obiettivo di ridurre le emissioni del 5% rispetto al 1990 nel periodo 2008 – 2012 e il secondo col target di riduzione questa volta del 18%, sempre rispetto al 1990, ma nel periodo successivo 2013 – 2020.

Tanti altri meeting seguirono negli anni successivi fino all’accordo di Parigi del 2015 nel quale ben 195 paesi sottoscrissero l’ambizioso obiettivo di contenere il rialzo della temperatura del pianeta di 2°C rispetto al livello pre-industriale del XIX secolo. Fu il primo accordo vincolante fra paesi sottoscrittori.

Arriviamo così alla conferenza di Madrid del dicembre 2019, tenutasi sotto l’egida dell’ONU, denominata COP25. Questo incontro è sostanzialmente fallito principalmente per la mancata intesa sul tema del cosiddetto commercio delle quote di carbonio che in parole povere significa che chi non può adempiere una parte degli obiettivi del piano, per criticità interne al proprio paese, può finanziare progetti ambientali di altri paesi, con meno risorse finanziarie, acquisendo così dei crediti con valore compensativo. In finale tutto si è concluso con l’ennesimo appello a presentare alla prossima conferenza, che si terrà a Glasgow nel novembre 2020 (COP26), nuovi piani di azione ancora una volta finalizzati a questo benedetto (o meglio maledetto..) contenimento dell’aumento della temperatura dell’aria, questa volta entro 1,5°C nei confronti dei già citati riferimenti storici.

Unica certezza in tutto questo baillame è rappresentata dall’aumento costante di CO2 nell’atmosfera del nostro pianeta. Quarant’anni fa furono registrati 340 ppm di CO2 e oggi stiamo intorno ai 410 ppm con un andamento grafico rappresentato da un segmento di retta in salita senza alcuna tendenza a diminuire.

Nell’era pre-industriale il livello di CO2 era intorno ai 200 ppm, condizione indispensabile per la sopravvivenza dell’uomo sulla terra perché in assenza di questo seppur contenuto livello di anidride carbonica la temperatura media terrestre sarebbe eccessivamente bassa.

Ora si ha la netta sensazione di essere di fronte a una sorta di gigantesca loop di stile informatico nella quale operano sempre gli stessi soggetti animati sempre dalle medesime motivazioni: la gente comune e le associazioni ambientaliste spingono, giustamente, i politici a proporre interventi risolutivi nei quali i politici stessi fingono di credere per non sfigurare agli occhi dei propri elettori.

Politici e tecnici si vedono poi alle consuete conferenze sponsorizzate nientemeno che dall’ONU e seguono estenuanti riunioni che finiscono con risoluzioni del tipo “dobbiamo fare di più!..”.

La verità è che questi stessi politici, una volta tornati a casa, si arrampicano sui vetri per sostenere un prodotto interno lordo figlio di un modello di società incompatibile con la diminuzione della CO2, con buona pace dello “sviluppo sostenibile”..

Insomma che fare? Il problema dei problemi è l’aumento demografico mondiale, completamente fuori controllo e slegato dalle risorse non infinite del pianeta e al quale nessun processo politico sembra saper porre rimedio. Segue poi lo stile di vita della gente che non cambia dall’oggi al domani a seguito di una conferenza targata ONU, semmai sono i giovani che, presa coscienza del problema e soprattutto avendo davanti a loro molti anni da vivere, possono imporsi scelte di vita più green.

Ma è tutto da dimostrare. Intanto il tempo scorre impietoso e madre natura va avanti come un treno. In finale si ha l’impressione che nessuno abbia il coraggio di ammettere che forse siamo vicini al “si salvi chi può!..”.

 

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