Roberto Alajmo, Cuore di madre

DI MARIO MESSINA

Il libro di Roberto Alajmo è spiazzante.
Concludi la lettura, vedi il titolo, e gli attribuisci una connotazione ben diversa rispetto a quello che avevi immaginato.
Prefiguri, infatti, un trattato di buoni sentimenti materni e scopri una lezione antropologica di cinismo ed indifferenza.

Di egoismo impermeabile.
La storia ha come primo protagonista Cosimo Tumminia, un sempliciotto di provincia. Uno dei tanti che popolano i nostri paesi.

Un uomo, non più cosi giovane, dal pensiero così elementare dal voler consultare puntualmente la rivista di enigmistica solo per leggervi le barzellette a bordo pagina.

Un riparatore di biciclette privo di relazioni sociali: <<cerca di pensare un elenco di sei persone che potrebbero prendere il caffè con lui: sua madre; la signora Pina. E poi basta, fine dell’elenco>>.
Una persona sicuramente segnata da un clima familiare non particolarmente caloroso: <<suo padre, per esempio, non ricorda di averlo abbracciato mai>>.
Presentandolo in tal maniera Alajmo ci vuol far quasi provare una sorta di affetto per un personaggio semplice e dalla vita priva di grandi soddisfazioni.
Il perdente che vorremmo adottare.
È il prosieguo, però, a ribaltare questa percezione.

La custodia di un bambino rapito apre, infatti, nuovi scenari e nuove riflessioni.
Soprattutto nel momento in cui la madre ne viene a conoscenza.

L’ auspicio che nei due possa sorgere un barlume di pietas viene progressivamente tradito. Neanche il contatto fisico col sequestrato riesce a scalfire questa corazza di miseria culturale e sentimentale.

Il problema è solo come cucinare alla perfezione << ‘e puppette>>.
La ragione per cui batte il famoso cuore di madre del titolo.
Quella che ad una prima impressione potrebbe rubare una risata si rivela, a ben vedere, tutt’altro che una banalità.
Si tratta più che altro dello specchio di un Paese, l’ Italia, che ha dato vita, non a caso, alla nozione antropologica di “familismo amorale”.

Per cui non esiste nulla al di fuori del benessere del proprio “scarafone”.

E questo a prescindere dall’appartenenza alla classe sociale.
Basti pensare all’ assoluta freddezza rispetto alle vittime esercitata da molte madri della Roma Bene per gli stupri comminati dai propri rampolli. Circeo in primis.

Immagine tratta dal web

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