Rondini

DI GIOVANNI BOGANI

Non so com’era la tua vita, quando nella tua casa non c’ero. Pensavo tu vivessi, che tu avessi un ritmo tuo, nel quale costituivo una parentesi. Invece non era così. Stavi sprofondata in quella poltrona di plastica davanti al televisore troppo piccolo, ti eri accorta che quello nuovo era più piccolo di quello vecchio? Oppure ti adagiavi sul divano, come tuo fratello Graziano negli ultimi anni, quando era diventato debole, e come lui ti addormentavi senza una parola.

Quando venivo da te, verso sera ti dicevo “vieni sul balcone, guarda che ci sono le rondini”, e il cielo era viola, era così bello, la luce rosata e delicata di una sera di fine primavera, quei crepuscoli che non finivano mai. A me quella luce lì, luce di ametista, quella luce che c’è solo di sera, le sere di giugno, sembra un gioiello, sembra la rivelazione di Dio. Tu dopo cinque minuti che eravamo sul balcone mi guardavi e mi dicevi “vabbè, torniamo dentro? Mi sono già stancata”. Non sono mai riuscito a farti provare la meraviglia che provavo io, a quella luce di ciclamino, quella luce che guardava lontano.

La luce di ciclamino. Altri la chiamano “l’ora blu”, ma in verità è quasi violetta. Altri lo chiamano “il raggio verde”. È quando il mondo trattiene il respiro, è l’ora in cui tutto sembra fare meno male.

Mi viene in mente quando mi telefonasti, forse dieci anni fa, un pomeriggio di primavera, come questo. Eri alla fermata degli autobus vicino alla stazione, ed eri caduta. Arrivai subito, con il Ciao Piaggio. Forse eri ancora lì, sdraiata, forse eri già all’ospedale. Ti eri rotta il femore, e io pensai “addio, è finita”. Invece, miracolosamente, andò tutto bene. Due mesi di riabilitazione, in un ospedale quasi in campagna: per venire a trovarti, comprai uno scooter più grande, uno Sfera Piaggio per cento euro. Mi sembrava di avere un pullman: quando lo dissi al meccanico, che mi sembrava comodo come un pullman, si mise a ridere. Quell’ospedale, in mezzo al verde, davanti al cimitero dei soldati americani, vicino a quella taverna dove si potevano mangiare le lumache, era molto bello, sembrava un albergo. In fondo, era tanto che non facevi vacanze. Lì avevi anche delle amiche con cui parlare, altre signore con la tuta Adidas o Nike, o Robe di Kappa, o Umbro. Come quella che ti avevo comprato. E tornasti a casa tutta intera, sana e salva, con una bellissima tuta da atleta olimpionica.

Immagine tratta dal web

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