Sahara

DI CARLO MINGIARDI

In quel periodo lavoravo in Libia con una grande società milanese, l’Impregilo.
Stavamo costruendo una base militare navale a Homs, sulla costa. Un cantiere immenso, eravamo circa quattromila persone, praticamente una paese intero.

Decidemmo insieme agli amici più cari, di fare una escursione di due giorni nel deserto, l’intento era soprattutto quello di passare almeno una notte in quel posto tanto particolare, ci avevano raccontato quanto fosse affascinante e mistica quel tipo esperienza.

Eravamo un po’ sprovveduti, essendo la maggior parte di noi teste calde, l’unica precauzione che adottammo fu quella di partire con due Land Rover, se ci mollava una, avevamo quella di riserva per uscire fuori dai guai.

Alla partenza il clima era davvero euforico, io ero in macchina con il mio capo, moglie e due figlie e il capo elettricisti con la compagna. L’unico scapolo di tutta la comitiva ero io perché anche nell’altra jeep c’erano altre due famiglie al completo.

Diciamo che ero un po’ lo spirito libero della carovana.
Eravamo molto legati tra noi, il fatto di lavorare lontani da casa per tanto tempo, riesce a creare delle amicizie veramente forti.
Notai subito che più avanzavamo in quel paesaggio così particolare e più l’atmosfera si faceva calma e pensierosa tra  noi.

Il deserto è un qualcosa di magnifico, maestoso e affascinante. Nella sua straordinaria bellezza è capace quasi di stordirti per le sensazioni nuove che stai provando.
Mentre attraversavamo la pista tra quelle dune dai colori indescrivibili, tra i giochi di luce e ombre che si formavano come per magia, anche il nostro interloquire era diventato diverso affrontavamo tematiche sempre più spirituali.

La bellezza del Sahara è quasi un enigma, l’immensità a perdita d’occhio ti sgomenta, l’orizzonte mutevole e la luce accecante è un qualcosa che ti lascia senza fiato.
Mi risulta difficile scrivere di quell’esperienza, è come se stessi aprendo un vecchio manoscritto e le parole volassero via con il primo colpo di vento.

Macinavamo chilometri di pista entrando sempre più in profondità in quel mare di “niente e tutto”, ma in realtà avevo la sensazione che stessi facendo in viaggio nel mio io più sconosciuto.
Nel tardo pomeriggio decidemmo di accamparci in una oasi che si materializzò all’improvviso, montammo le tende che ci aveva procurato il capo, campo pronti ad affrontare quella notte misteriosa.

In quel posto così particolare c’è una bellezza indescrivibile tra il giorno e la notte, il sole dell’alba è sublime come quello dell’imbrunire, al tramonto il cielo diventa una tavolozza di colori che non hai mai osservato in vita tua.
La notte porta con se il silenzio rotto solo dal soffio di un leggero vento che trasforma costantemente le forme delle dune.

Ricordo che a un certo punto mi allontanai dal gruppo, avevo bisogno di restare un po’ per conto mio, era come se una misteriosa voce mi stesse chiamando per raccontarmi qualcosa. Feci un centinaio di metri e mi sdraiai per terra, avevo con me l’inseparabile registratore portatile con su una cassetta degli Eagles.

Ero sotto quella cupola sconfinata di stelle mai vista prima, la notte si stava facendo sempre più gelida, di un freddo che non è paragonabile a quello delle città, era un freddo soprattutto interiore.
Per quale motivo ero partito in cerca di avventura per l’estero? Cosa stavo cercando? Stavo facendo la cosa giusta?

Un susseguirsi di domande alle quali non trovavo risposta.

In quel posto così lontano da tutti capii che forse nella vita non ci vuole fretta né impazienza, due difetti della vita cittadina. Che non bisogna aspettarsi niente, che bisogna prendere il tempo per come viene, che bisogna affrontare le cose con umiltà, cosa che mi era mancata fino a quel momento.

Rimasi così, immobile per parecchio tempo, la cassetta era finita, tolsi le cuffie e ascoltai il respiro del deserto. Mi sentii profondamente solo, ma con delle consapevolezze diverse, stringevo un pugno di sabbia ma appena aprii la mano scivolò via inesorabilmente perché tante cose non puoi trattenerle, devi lasciarle andare via.

Piansi, non riuscivo a trattenere le lacrime, era come se fosse crollata una diga e usciva fuori di tutto, piansi come non avevo mai fatto prima d’ora.
Capii con estrema certezza che il deserto è il rifugio dei disperati, ma anche di chi vuole rinascere per dare un senso diverso alla propria vita.

Immagine tratta dal web

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