Sardegna: la Necropoli di Sant’Andrea Priu, meraviglioso complesso funerario scavato nella roccia

di Claudia Aru

Oggi vi racconto un posto incredibile della nostra meravigliosa isola: l’area archeologica di Sant’Andrea Priu a Bonorva.
Si tratta di sepolture ipogeiche caratteristiche della Sardegna Prenuragica datate alla metà del IV millennio a.C. e riconducibili al periodo della Cultura di Ozieri (Neolitico Recente 3200-2850 a.C.)
A lasciare senza fiato è la Tomba del Capo che è una delle domus più interessanti della Sardegna e, mi azzardo a dire, dell’intero mediterraneo.

Il soffitto dell’ingresso è decorato da raggi simili ai raggi solari che, incisi nella roccia, riproducono le travi del tetto delle capanne neolitiche. Infatti non riproducono il sole, ma il senso di casa.
Ma questo luogo sacro per i nuragici aveva solo iniziato la sua lunga storia.
In età romana e poi bizantina la Tomba del Capo fu trasformata in una meravigliosa chiesa rupestre di cui ancora oggi sono visibili gli affreschi: il volto di una matrona romana, le pavoncelle sacre, la mano benedicente, solo per fare qualche esempio.
Sono raffigurazioni che lasciano senza parole.
Questo ipogeo è costituito da 18 vani: tre molto ampi, disposti lungo lo stesso asse, e 15 piccole celle incastonate attorno ai tre vani principali. Tutto l’ambiente era decorato di color rosso ocra, il colore del sangue, in questo caso concepito come fluido che porta la vitalità per rinascere a nuova vita. Ancora si possono vedere i segni.
All’entrata della grotta i solchi rotondi erano coppelle votive che raccoglievano offerte destinate ai defunti, come grano e olio. La chiesa rupestre fu poi riconsacrata nel 1313 e dedicata a Sant’Andrea.
Sul soffitto del presbiterio una cavità metteva in contatto le viscere della terra con il cielo aperto: la pioggia, considerata acqua benedetta, scendendo dall’alto, entrava dunque direttamente in chiesa, toccando l’altare sottostante, per poi defluire in due canali che terminavano nel pozzetto adibito a fonte battesimale. Per un fenomeno unico di accurata e antichissima conoscenza astronomica, il 21 dicembre, giorno del solstizio d’inverno, i raggi di sole che entrano dalla grotta della Tomba del Capo vanno a illuminare la mano del Cristo Pantocrator affrescato nel Presbiterio.
Col tempo fu abbandonata di nuovo ed è diventata una stalla per le pecore.
Ma non è finita qui. Questo luogo ha dell’altro:
La Tomba a camera è anch’essa di incredibile bellezza: riproduce una capanna interamente scolpita nella roccia.
Ma c’è ancora qualcos’altro:
Sopra le domus vi è una strana pietra che può essere tre cose: una domus più piccola, il campanile della chiesa, la rappresentazione del Dio Toro decapitato dai Cristiani.
Qualunque cosa sia, vale assolutamente la pena andarci.
*Immagini di Claudia Aru

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