Scuola: che fare dopo lo sciopero generale del 10 dicembre?

di Salvatore Salerno

A leggere migliaia di post e commenti di docenti e Ata nei social a proposito dello sciopero del 10 dicembre, emergono alcuni punti in comune che danno l’immagine di una categoria ormai incapace di difendersi non solo e non tanto per l’esigua percentuale di adesione allo sciopero (ormai pacifico che si è trattato del 6,25%, anche se il totale sospetto delle assenze dal servizio quel giorno è stato di circa il 17%), ma per l’assoluta impreparazione su questioni basiche che riguardano la politica, il sindacato, le istituzioni della Repubblica, la sua cornice costituzionale e le leggi in vigore.

È gravissimo che ogni docente oggi, di qualsiasi materia, possa insegnare educazione civica, cioè in soldoni il diritto costituzionale, la convivenza civile che è fatta di diritti e doveri, di regole e leggi, stabilite da organi democratici che possono essere cambiate solo seguendo lo stesso percorso democratico, ma che intanto vanno applicate. Non si sa in genere nulla dello stesso contratto di lavoro che riguarda il comparto, degli aumenti contrattuali e accessori, delle tasse e dei contributi, delle scadenze, di come è fatto uno stipendio. Nei commenti si parla di 12 euro lordi (fondo per la valutazione) che invece non sono gli unici e la principale voce di formazione del trattamento economico e non sarebbero peraltro per tutti.

Faranno, dopo le inutili proteste social ma niente di solido in presenza, il solito rinnovo dove il netto tutto compreso, aumento stipendiale, riforma aliquote irpef e fondo per la “dedizione” raggiungerà a stento e in media i 50 euro netti al mese, senza arretrati per il contratto scaduto il primo gennaio 2019 se non un contentino percentualmente ridotto sugli anni 2019 e 2020, forse arretrati interi a regime per il 2021.

Senza ancora entrare nel merito dello sciopero e dei suoi contenuti, é incredibile come si possano confondere le carte in tavola già nella costruzione del testo da parte dei commentatori da tastiera.

Limitiamoci ad analizzare soltanto i gruppi scuola, i giornalini online dedicati, molti dei quali interessati a like, alla sopravvivenza purché sia, per la pubblicità, la vendita di corsi di formazione, un protagonismo politicamente di parte, nessuna informazione completa della posta in gioco prima e dopo lo sciopero.

Una posta in gioco che comprende il rinnovo del contratto come fatto essenziale ma che ha dentro soprattutto la dignità sociale di una categoria maltrattata e vilipesa da decenni, di una scuola pubblica sulla quale non si investe se non a parole.

Le classi pollaio, gli edifici, le disparità territoriali, la mobilità negata, gli organici e, ancora più grave e verticistico, il messaggio che proviene del Ministero e sodali, l’intervento autoritario sulla didattica, il fare scuola, l’indottrinamento dei docenti, suggerito da fondazioni confindustriali, delle competenze, su dati finalizzati dell’invalsi, ocse Pisa, accademici che, come il Ministro, guardano dall’alto in basso la scuola da 3 a 18 anni con presunzione e supponenza, senza essere mai stati in classe per una settimana se non da ragazzi, che puntano sulla presunta impreparazione degli insegnanti, corsi di formazione mirata a raffica, la fine della libertà di insegnamento costituzionalmente garantita ma oppressa nei fatti.

Giungere alla fine della scuola pubblica per arrivare alla scuola aziendale, privatistica, della competizione, dove lo Stato deve spendere meno e si devono salvare solo i migliori, quelli che servono all’industria, a partire dalla scuola primaria.

Ebbene, quali sono le parole più ricorrenti in questi post e commenti?

Provate a leggere velocemente per qualche giorno quello che scrivono i docenti sullo sciopero, troverete nel 90% la parola “sindacati” senza distinzione e altra specificazione, troverete per il 90% proposte alternative allo sciopero, perché con quello c’è la trattenuta, non serve a nulla per un solo giorno, non arreca danni agli utenti (come se questo fosse lo scopo principale di uno sciopero), non produce risultati. Nessuno ammette di essere soddisfatto dello stipendio, che va tutto bene nella scuola pubblica così come è diventata, eppure lo sciopero non si deve fare, non è la via giusta, ci vorrebbe questo o quello, di impossibile, ma non importa, da fare tutti ma senza i sindacati traditori, così, da un giorno all’altro.

Basta scriverlo sui social, niente incarichi aggiuntivi, sciopero ad oltranza, blocco scrutini, rifiuto di progetti, strappare tessere che invece ognuno si tiene strette in tasca ma non perché serve il Sindacato con la S maiuscola ma per la dichiarazione dei redditi, la pensione, non si sa mai per mero scopo personale e individualistico e chi più ne ha più ne metta.

Infantilismo pauroso ma poi a fare tutto questo scibile di azioni contrastive di persona e personalmente non se ne parla, soffermarsi per un attimo a pensare semplicemente osservando ognuno alla propria scuola, alle prime file del collegio docenti, ai corridoi affollati di docenti missionari con relative carte e fotocopie, la stanza del ds chiusa e affollata fuori dalla porta, chi dice la sua e ci tiene a dirla nei corsi di formazione inutili, agli staff, coordinatori, saccenti e presuntuosi superdocenti, per capire immediatamente che é assolutamente impossibile che questo accada, tutti a correre nell’asservimento, a mostrarsi come i più bravi fuori dalla classe e molto meno dentro.

Intanto però lo scriviamo quello che ci vorrebbe, altro che sciopero, noi siamo più avanti, la rivoluzione.

Vediamo ancora invece quello che non troviamo nei post e commenti sullo sciopero, non troviamo nel 90%, perché evidentemente considerate parole inutili, per esempio, parole come “Ministro”, “Governo”, “Parlamento”, “Partito” o “Movimento”. Fateci caso, se si parla di sciopero la parola associata nella scuola è “sindacati”, unici con poteri di cambiare le cose, diventati controparte, un’altra é “trattenuta” e infine il classico “ci vorrebbe”…

E mentre ci mettiamo l’anima in pace con “ci vorrebbe”, pulita la coscienza per non avere aderito allo sciopero, Bianchi (che è il Ministro per chi non lo sapesse e comunque non citato in quei post e commenti) se la ride, il governo non mette soldi in più per il rinnovo del contratto (cioè Draghi, il Consiglio dei Ministri, il Ministero Economia), il Parlamento (quello che fa le leggi) chiacchiera inutilmente per chiudere con il voto di fiducia, partiti e movimenti (quelli votati per dire e fare sul governo) continueranno a non capire niente di scuola o capirne abbastanza per lasciar fare al Ministro di turno.

Ma attenzione, nei social e solo nei social, lo abbiamo scritto che siamo incazzati neri, che vedrete alle prossime elezioni, che vedrete di cosa siamo capaci di fare… Si, lo abbiamo visto cosa siamo capaci di fare.

Che fare allora dopo uno sciopero che tutti saranno ben attenti a proclamare e replicare a breve?

Considerato che la rivoluzione non è prevista, che lo sciopero ad oltranza è proibito dall’ordinamento come il blocco degli scrutini, che anche se una piccola parte dei contestatori, duri e puri da tastiera, si astenessero da incarichi aggiuntivi se ne troverebbero di più pronti ad assumere quegli incarichi, che i maggiori sindacati hanno perduto gran parte della credibilità nei loro vertici nazionali e che quelli più piccoli e radicali si rifugiano nella demagogia o nei ricorsi legali, chiedendo di più di quanto ragionevolmente si può ottenere subito, quale può essere un’indicazione giusta per il personale della scuola, docenti e ata?

Quale può essere una linea giusta che superi il disagio di questo personale che tutti vediamo ma di cui nessuno tiene conto?

Come conciliare la prospettiva di una soluzione di quel disagio con l’interesse generale del Paese?

Nessuno ha la ricetta, a cominciare da quelli che decidono, si siedono ai tavoli dove dalla parte governativa si ripropone la stessa ricetta già fallita, perché è fallita quella ricetta delle competenze e del disegno confindustriale, della 107 renziana, anche nella nuova versione del digitale, della dedizione, dell’affettuosità e della scuola dell’autonomia e di comunità.

Cosa c’è in quei tavoli dalla parte sindacale, quelli che hanno la rappresentanza? Anche qui bisogna cambiare radicalmente, trovare nuovi percorsi di partecipazione che non possono essere le assemblee vuote o mute nelle scuole, non possono essere le 30.000 e passa RSU elette troppe volte suggerite o complici dei ds, che lavorano per sé, assumono addirittura incarichi nella gerarchizzazione aziendale della scuola, che sono i primi a non scioperare come si è visto palesemente l’8 giugno 2020 quando tutte le sigle sindacali, cisl compresa, proclamarono lo sciopero e ci fu una partecipazione dello 0,6%, cioè meno di diecimila, in quello del 10 dicembre 2021 si arriva a circa centocinquantamila (unità di assenze ma solo il 6,25% per sciopero), un progresso ma non sufficiente.

Un ricordo lontano ed un’occasione mancata quello del 5 maggio 2015 con un milione di adesioni allo sciopero. Stride comunque il dato strabiliante di iscritti ai sindacati promotori che è di quattrocentocinquantamila senza la cisl che non ha aderito.

Resta la rassegnazione di una guerra perduta oppure si può ripartire da quel 6,25% o 17% (se si considera il totale delle assenze nel giorno di sciopero), dal coinvolgere ancora la cisl, i sindacati minoritari, ritrovare unità e nuove formule?

Chi scrive non sa e non vuole dare indicazioni che sarebbe inutile seguire vista la loro inconsistenza provenendo da un gruppo social. E’ sicuro che sarà una strada in salita molto ripida ed avrà bisogno dei suoi tempi, sarà fondamentale capire la direzione che prenderà. L’articolo è già lungo così, difficile arrivare in fondo di questi tempi, alla prossima puntata.

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