Scuola. Cosa non ha funzionato nello sciopero del 30 maggio

di Salvatore Salerno

Questo sciopero di maggio poteva rappresentare un’occasione di svolta di una scuola che protesta in autonomia quando si arriva al punto di essere così bistrattati da un sistema trasversale di Istituzioni, potenti dell’economia e forze politiche, un punto senza precedenti sulla linea della 107 renziana che giunge a compimento nella sua filosofia distruttiva. Un decreto legge imposto e contratti fermi. Solo in Italia.
Poteva essere un sussulto di orgoglio e dignità della categoria senza incontrare ancora, come sarà nel prossimo futuro, l’inevitabile strumentalizzazione, in tempo troppo ravvicinato, la scadenza delle elezioni politiche del 2023.

Dispiace molto constatare che è stato un fallimento che aveva tutte le possibilità di essere scongiurato in questa misura se migliaia di uomini e donne “sindacalizzate” della scuola avessero solo lavorato un po’ di più, se nella comunicazione interna e dei social non avessero prevalso alcuni elementi tossici che sono pieni di contraddizioni già da tempo.
Elementi che vanno analizzati uno per uno e sui quali non si è saputo intervenire per contrastarli.
Riguardano soprattutto l’identificazione della controparte che nella vulgata comune sono diventati i sindacati, riguardano la trattenuta del giorno di sciopero sullo stipendio, riguardano le rappresentanze sindacali unitarie di ogni singola scuola, i dirigenti sindacali territoriali fino a quelli regionali e nazionali, riguardano l’assoluta ignoranza sui diritti del lavoro della categoria.
Era possibile arrivare a 400/500mila scioperanti informati e consapevoli, quella percentuale del 30/35% che, visti i precedenti scioperi degli ultimi sette anni, sarebbe stato un successo.
Con il 17% la strada torna in salita, c’è da aspettare più tempo del previsto per avere una scuola democratica e più umana, con al centro il rispetto delle figure professionali che ci lavorano, docenti e personale tecnico e amministrativo, una misura di riconoscimento che avrebbe potuto portare al corrispettivo anche economico sugli stipendi, perché è tutto collegato e non ci vuole un Einstein per capirlo, decreto e stipendio.
Risalire a tutta la filiera dell’organizzazione sindacale e intervenire, a partire dalle RSU appena elette ed andare più su fino ai vertici nazionali.
Sulle RSU, che dovevano avere la gran parte di organizzazione dello sciopero, affidata espressamente dai loro sindacati di riferimento, avevamo segnalato insieme al gruppo Scuola Bene Comune, La nostra Scuola… e pochissimi altri gruppi scuola, il ritardo ingiustificabile. I vertici sindacali se ne sono accorti soltanto qualche giorno prima della data del 30 maggio, troppo tardi.
State sicuri che anche questa volta prevarrà il trionfalismo di uno sciopero quasi riuscito, si terranno RSU così come sono, il 17% diventa 20% tanto per arrotondare e siamo stati tutti bravi a vincere quando è palese che la partita è stata invece perduta.
Lo si fa dirà perché non bisogna perdere le speranze, per incoraggiare? Si perde una partita e resta un campionato che dura più a lungo e si può sempre ribaltare una situazione ostica, non si fa senza far niente. Per la scuola il nuovo campionato inizia ormai a settembre e poteva ripartire da maggio. Pazienza.
Non è forse meglio guardare in faccia la realtà e lavorare per cambiarla? E dopo averla cambiata si riparte con i correttivi che servono senza nascondere la polvere sotto il tappeto. Certo ci vuole lavoro e coraggio a farlo ma è arrivato il momento che non se ne può più fare a meno.
Devono emergere le criticità delle organizzazioni sindacali dal punto di vista organizzativo, quello politico e sindacale, senza bisogno di essere contro i sindacati, guai anzi a pensarlo, non ci sono alternative per la difesa del lavoro dipendente.
Non si spiegano tante cose anche analizzando freddamente i numeri che non sono un’opinione. Non i numeri dello sciopero, che quelli ormai li sappiamo, ma quello che ci sta a monte.
Per fare qualche esempio, sono più di trentamila le RSU, sono circa cinquecentomila gli iscritti ad un sindacato del personale scolastico, sono stati più di un milione quelli che hanno votato le RSU ad Aprile scorso, si sono verificate in questo sciopero del 30 maggio decine di scuole e plessi interamente chiusi e quindi adesione quasi al 100% e altre realtà più diffuse di scioperanti che si contano sulle dita di una sola mano, com’è possibile una tale diversificazione nella risposta ad uno sciopero?
 E i precari? Di fronte ad un decreto ignobile sul reclutamento, chi li ha coinvolti? Quanto ha pesato quell’accordo, che sembrava innocuo, del 2 dicembre 2020 della dichiarazione preventiva di partecipazione allo sciopero richiesta dai dirigenti?
Non è più neanche macchia di leopardo dove le chiazze della pelle sono distribuite equamente, è qualcosa di più che mette in campo il soggettivo come elemento principale, qualcosa che è più difficile analizzare non avendo dati specifici e dettagliati delle singole scuole e nelle singole scuole (la beata autonomia malamente intesa).
Significa che in una scuola si sono fatte le assemblee, si è fatta informazione, si sono mosse tutte le RSU, c’è andato il dirigente provinciale o il segretario nazionale e nell’altra niente di tutto questo?
Da domani approfondimenti su questi punti, ormai fondamentali. E’ scappata di mano un’occasione che aveva tutte le ragioni e le possibilità per dare un segnale forte al governo, quel segnale che solo uno sciopero può dare, non le chiacchiere e le lamentele nei social.
Qualcuno e forse in parecchi dovranno risponderne, soprattutto a chi ha scioperato, quei duecentomila dello zoccolo duro che non si rassegnano e che hanno scioperato, quei cinquemila di Piazza SS. Apostoli della manifestazione nazionale a Roma. E’ anche lì si poteva e si doveva essere almeno in diecimila.

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