Scuola. La crisi di rappresentatività dei sindacati di settore fa male a loro e a tutti noi (malgrado i loro grandi numeri)

di Salvatore Salerno

C’è una crisi di rappresentatività dei sindacati nella scuola che fa male a loro e a tutti noi malgrado i loro grandi numeri.
Occorre prima di tutto informare su come stanno le cose. E’ paradossale e non se ne parla abbastanza. Succede che i grandi sindacati della scuola proclamino uno sciopero nazionale e raccolgano adesioni molto inferiori alle loro potenzialità, l’ultimo con il 17,55% del personale dipendente, in realtà percentuale di poco inferiore se non si esclude la vasta area del precariato in servizio a periodi alternati, usa e getta. Quei precari che di fronte ad un decreto anche sul reclutamento non sono stati coinvolti e sono almeno il 20% in più dell’organico di diritto, quello delle assunzioni inesistenti. Più centinaia di migliaia di aspiranti all’insegnamento.

Siamo ad un solo insegnante che protesta su sei, ne partecipa uno e gli altri cinque sperano che qualcosa succeda ma vanno regolarmente a lavorare il giorno dello sciopero. Sono oggettivamente i “crumiri”, non tutti consapevoli o non tutti inconsapevoli, con buona o cattiva fede. Sono oggettivamente contati dalla controparte come dissidenti della categoria che sciopera, che si schierano con il governo, il Ministro, il Parlamento e le forze politiche perchè è questa e non altra la controparte.
Nella miriade di sindacati della scuola, con tutto il rispetto per i sindacati di base e altre piccole sigle, ce ne sono sei che stanno in testa alla classifica per numero di iscritti con delega e trattenuta mensile. Sono i sindacati riconosciuti come più rappresentativi dalla pubblica amministrazione e dai governi anche attraverso l’incrocio con i dati delle elezioni RSU, quelli che siedono al tavolo della contrattazione con l’Aran che è agenzia governativa di rappresentanza della controparte che si limita a seguire la linea del Ministro che fa un atto di indirizzo e del governo a proposito della distribuzione delle risorse economiche disponibili. 
Risorse che derivano dal bilancio dello Stato, la famosa legge di stabilità che ogni anno viene approvata dal Parlamento con la consueta coda del “milleproroghe” che la segue a gennaio. Non può andare oltre quelle risorse l’Aran, ci sarebbero margini di trattativa solo sulle modalità di distribuzione nella categoria che nella scuola è composta da docenti, dsga, personale tecnico e amministrativo, collaboratori scolastici dipendenti dello Stato. Non ci sono i dirigenti scolastici che hanno un trattamento economico diverso.
Questi sei grandi sindacati, talvolta contati come tre (i Confederali cgil-cisl-uil) più uno (Snals), più uno (Gilda), più uno (Anief), nell’ordine e secondo classifica incrociata iscritti e liste RSU votate, sono quelli che firmano il CNCL ed eventuali integrativi su singole questioni. Non ci sono altri al tavolo della contrattazione con l’Aran e rimangono gli stessi nella contrattazione d’Istituto attraverso le RSU. Sono i sindacati più rappresentativi.
E qui, restando all’informazione e ai numeri, veniamo al paradosso che salta agli occhi pur essendo celato da trionfalismi, denigrazioni, arrotondamenti arbitrari, segnali forti o segnali deboli quando è indubbio che la partecipazione del 17% ad uno sciopero è un segnale debole. Debole sul decreto legge 36 scritto e imposto da un Ministro senza ascoltare nessuno tranne i soliti noti e debole quando ci si siede al tavolo della contrattazione tecnica con l’Aran e quella politica avendo di fronte governo, parlamento, partiti e movimenti.
Immaginate i segretari nazionali o chi per loro dei sindacati scuola che sono seguiti dal 17% dei dipendenti che parlano con la delegazione Aran, con il Ministro, con una commissione parlamentare o con il Governo pro tempore che è il datore di lavoro. Immaginate chi sta dall’altra parte dei rappresentanti sindacali che magari li ascolta su formazione, reclutamento, premialità, stipendi, evitando di ridere ma sapendo benissimo che solo uno su sei dei dipendenti coinvolti li segue.
E qui veniamo al punto che non può essere esaurito in un solo articolo, faremo delle puntate di approfondimento per tutta l’estate, tanto da qui a settembre non c’è altro da fare che lavorare nel sindacato e sul sindacato per rinnovare una protesta più consistente che è alla portata di mano e sta nei numeri di questi grandi sindacati. Ma qualcosa, troppe cose, non hanno funzionato anche il 30 maggio.
Un autunno caldo, a partire da settembre, con numeri e dati sui quali è ormai indispensabile ragionare per un cambiamento coraggioso dell’azione sindacale nelle sue tattiche e strategie. Non può essere indolore ma c’è da difendere una rappresentatività reale del Sindacato e il diritto di sciopero come le prime e uniche armi di rilievo per la protesta dei lavoratori dipendenti. 
Cancellare Sindacato e Sciopero significa lasciar fare al datore di lavoro quello che vuole.
Diamo continuità ai due articoli precedenti pubblicati su “scrignodipandora.it” il 31 maggio, di ritorno dalla manifestazione nazionale romana con le prime considerazioni, il primo giugno sugli errori della preparazione di quello sciopero.
C’è un mondo di almeno un milione di dipendenti scuola che non è estraneo alle sigle sindacali e che vediamo invece molto attivo nella sua maggioranza sui social e nelle singole scuole contro i sindacati. Delle due l’una, si aderisce, si votano, ci si serve dei sindacati in privato, si diventa RSU e poi nelle scelte fondamentali ci si rifiuta di seguirli nella priotesta più importante che un sindacato può mettere in piedi che è lo sciopero nazionale?
Solo circa in 200.000 hanno aderito allo sciopero su di una platea che sfiora almeno 1.500.000 dipendenti coinvolti a vario titolo, va data una spiegazione a chi ha scioperato, lo faremo con rispetto ma senza sconti per nessuno se si vuole provare a vincere la prossima volta.
Ma di cosa stiamo parlando, sono davvero un milione i dipendenti della scuola che hanno a che fare con i grandi sindacati? 
Si, la prima dimostrazione sono i votanti delle elezioni RSU e sono un milione (dati verificabili), la seconda dimostrazione è data dagli accessi al “sindacato” per ogni cosa. Molte volte non è esattamente il “sindacato” ma il suo patronato, il suo caf o consulenti. Lo si fa per trasferimenti, domande per graduatorie, pensioni, assegnazioni, concorsi, dichiarazione dei redditi, etc.
Anche questi sono un milione nel corso di un anno caldo (dati verificabili almeno al 70/80%). Poi ci sono gli iscritti che non sono un milione ma più del doppio del numero dei partecipanti allo sciopero del 30 maggio (dati verificabili), ci sono ancora le RSU che da sole su ottomila scuole fanno un numero straordinario di presunti attivisti sindacali, poco meno di 40.000.
Da aggiungere, infine, i “sindacalisti”, cioè quelli che a tempo pieno con distacco o part time fanno sindacato nei vertici nazionali e regionali, nei territori, in tutte le grandi città e almeno nei comuni di media popolazione, sono i segretari, membri di direttivo, di assemblee, commissioni interne, etc.
Una forza poderosa che sulla carta non è scalfita da decenni di propaganda interessata contro ed è bene che sia così, non perdono iscritti o voti RSU.
Se mettiamo insieme questi numeri com’è che l’elefante produce un topolino nella sua protesta più eclatante che è lo sciopero e manifestazione nazionale? E’ un paradosso.
E allora c’è da chiedersi cosa non ha funzionato nello sciopero e cosa non funziona più nei grandi sindacati, in modo costruttivo, senza attacchi gratuiti, rimanendo dalla parte del Sindacato con la esse maiuscola. Perché rispetto a questo non c’è alternativa che tenga.
Lo faremo punto per punto, criticità per criticità. Speriamo di farlo non contro ma insieme ai dirigenti sindacali, ai loro iscritti e al mondo di una scuola pubblica che va alla deriva. Da tutti i punti di vista.
Non ci resta molto tempo, il 30 maggio e la protesta prevista in autuno saranno gli ultimi appuntamenti in autonomia della categoria. Da gennaio 2023 si parlerà solo di elezioni politiche e ognuno dirà strumentalmente la sua, sappiamo come è andata a finire nel 2018.
Conteranno, nella nostra analisi, solo i fatti degli ultimi quattro anni e quelli di almeno tutto il XXI secolo fino ad oggi e qualche anno di fine secolo scorso. Conterà il contesto di oggi, gli stipendi poveri e l’inflazione che li erode ancora di più, non riguarda solo la scuola ma riguarda un intero mondo del lavoro umiliato che, insieme ai sindacati, deve adeguare ed elevare il grado della protesta.
Alla prossima puntata.

scrignodipandora
Latest posts by scrignodipandora (see all)

Pubblicato da scrignodipandora

Sito web di cultura e attualità