Scuola. Questa storia del ministro meglio/ministro peggio dura da venti anni. Sarà che sono stati tutti uguali?

di Salvatore Salerno

Scuola. Questa storia del ministro meglio/ministro peggio dura da venti anni. Sarà che sono stati tutti uguali?

Per fermarci ai più recenti, ma elencheremo anche gli altri.

Era chiaro per tutti tranne agli elettori del M5S che si stima abbiano votato nel 2018 contro la 107 renziana in due milioni dal mondo scuola e famiglie.

Non è ancora chiaro per un quarto di loro a proposito della Azzolina che ha seguito passo dopo passo la filosofia della 107 compresi i banchi a rotelle di Giuliano. Bianchi é anche un prodotto della Azzolina che ha scritto il PNRR della parte scuola, presentato in commissione cultura ufficialmente dallo stesso Bianchi tra l’entusiasmo dei deputati, di destra, di centro, PD, Fratoianni e sinistra inclusi. Ministra in carica.

La scuola italiana, con l’unica eccezione di Tullio De Mauro, durato pochissimo, è commissariata da fondazioni private che hanno interessi economici. Da vent’anni e più.

Non è il voto politico che da solo risolve, vedi il 2018. Perde Renzi anche per effetto del voto scuola, vince il M5s anche con il voto scuola.

Poi il Pd resta renziano e il M5s sulla scuola si affida al renziano Giuliano, indicato Ministro prima del voto, si affida a Max Bruschi, Azzolina e Bianchi. Dopo aver rinunciato nel contratto di governo con la Lega a quel Ministero affidato ad un   mediocre funzionario da provveditorato milanese, Bussetti, con Giuliano sottosegretario. Questo il Conte 1. Poi a Fioramonti, Conte2, negandogli un miliardo di euro. Infine Azzolina e poi Bianchi introdotto da Azzolina.

Chiunque può fare quello che vuole se i docenti non scioperano più massicciamente dal 2015.

La premialità di Bianchi è esattamente uguale al concorsone di Luigi Berlinguer, allora respinto dai docenti che hanno vinto grazie, udite, udite, ai loro Sindacati.

Tutti gli altri Ministri, dal Profumo, banchiere (governo Monti), Carrozza con Letta, Giannini con Renzi, sono stati commissariati dal loro Partito di riferimento. Lo stesso ha fatto Berlusconi con Moratti e Gelmini. Da Gentiloni arriva la Fedeli, ex sindacalista che oggi siede nel consiglio di amministrazione della fondazione Agnelli/Elkann.
Nessun rancore verso tutti questi Ministri e Ministre, per carità, tutte persone singolarmente rispettabili. Ma si può almeno dire che tutti sono appartenenti alla seconda linea della politica, della cultura e dell’economia?

Eppure si tratta di un Ministero importante, con portafoglio e si è sempre riconosciuto al Ministro della Pubblica Istruzione una levatura non comune, dall’unità d’Italia fino al novecento. Hanno fatto la storia del progresso di un intero Paese, Gentile o Mattarella, per fare solo due nomi.

Nella scuola comandano altri da fine secolo scorso, da Luigi Berlinguer in poi e per loro è il momento giusto per l’ultimo affondo della soppressione della libertà di insegnamento costituzionale con la formazione mirata e orientata, pure premiata con la mancetta, grazie ad un Parlamento che non sa nulla di scuola, che non ha memoria e che ha lo sguardo corto.

Non è che non si deve fare formazione, ogni buon insegnante la fa, si aggiorna, sa che deve imparare le nuove tecnologie, lo ha dimostrato durante la pandemia.

Ma attenti, non si tratta di imparare progressi scientifici indispensabili nel proprio lavoro come succede nelle sanità, qui si propone di formarsi sulle cosiddette competenze finalizzate all’economia, sui dettati di accademici presunti geni della pedagogia, di uniformarsi a sistemi scolastici anglosassoni peraltro falliti come sono fallite tutte le riforme, troppe e frammentate, che hanno percorso la stessa strada in Italia.

A proposito di potere legislativo, perché nessuno sul decreto 36 chiede al Parlamento e quindi a partiti e movimenti, cosa succederà per emendamenti, voto di conversione in legge o decadenza del decreto entro il 30 giugno. Il loro voto o la fiducia senza discussione è nella loro diretta responsabilità.

Se Draghi mette la fiducia sarà anche perché può far comodo a tutti, comincino invece ad avvertire da subito che su questa parte scuola del decreto si deve discutere per cambiarla.

Anche il governo può accettare emendamenti, raccogliere osservazioni e se fiducia dev’essere può esserci senza gli articoli 44, 45 etc.

E poi, certo, i Sindacati.

Dove sono è la domanda ricorrente nei social, la domanda di quelli che paradossalmente hanno una tessera sindacale in tasca (più o meno mezzo milione di dipendenti scuola) o che votano per le RSU (intorno al milione di dipendenti scuola), RSU che significa Rappresentanze Sindacali Unitarie. Chiedono dove sono i sindacati quando hanno eletto il loro delegato sindacale RSU e prendono la tessera da un segretario provinciale o locale.

Dove sono? Sono quelli e da quelli fino alle segreterie regionali e nazionali.

Si cominci dal basso a chiedere conto di queste deleghe, a mettere in discussione se serve anche i loro massimi dirigenti nazionali o almeno a far sentire più forte il disagio di una condizione sociale ed economica che è ormai innegabile in tutte le scuole e che così non si può fare neanche una buona scuola.

Solo se riesce uno sciopero generale, non si raffredda dal giorno dopo, non ci si siede al tavolo di un Ministro, come purtroppo è stato fatto dopo il 5 maggio 2015, come se nulla fosse accaduto, si dà continuità a quella protesta.

E allora è chiaro perché una legge imposta come la 107 renziana è ancora tutta lì con qualsiasi Ministro o Ministra, che l’organico di diritto della scuola è ancora quello della Gelmini, che gli stipendi sono quelli di Monti e via continuando, sempre più giù.

Un nuovo valore allo sciopero generale è quello che va fatto, intanto partecipando, poi tallonando in tutti i modi possibili senza concessione di sconti da saldo sulla piattaforma sindacale peraltro rassegnata al ribasso delle tre cifre (lorde) indistinte e anche questa dunque da rinnovare non fosse altro che solo per l’inflazione si perdono mediamente 100 euro al mese mentre il governo ne offre la metà per il contratto scaduto.

Neanche quelli perché non ci si decide a chiudere quel capitolo, aprire il nuovo contratto 2022/2024 a partire dalla seconda indennità di vacanza contrattuale, meno di 10 euro contro 100 netti che si perdono di fatto, arrivare a 300 euro a regime nel 2024.

Ieri, 6 maggio, partiti scioperi e manifestazioni di sindacati minori, numeri bassi, ininfluenti. Prendiamola come una prova per dare il via a qualcosa di molto più partecipato che solo i grandi sindacati possono promuovere.

Non c’è alternativa allo sciopero generale unitario e non ci sono scuse.
Altrimenti amen.

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