Scuola. ‘Salire a bordo, c***o’! Obbligatorio scioperare il 30 maggio (1^ parte)

di Salvatore Salerno

SCUOLA. “SALIRE A BORDO C…ZO”! OBBLIGATORIO SCIOPERARE IL 30 MAGGIO.
E’ L’ULTIMA FERMATA DELL’AUTOBUS PER UNA CATEGORIA CHE NON SA DIFENDERSI.
(prima puntata)

Verso lo sciopero generale della Scuola del 30 maggio.

 Partecipare é un obbligo, senza scuse e un elenco infinito di cose alternative impossibili da fare anziché l’unica consentita dalle leggi e dalla ragione, scioperare e manifestare in piazza.
È scomparsa la parola “crumiri” dal vocabolario del sindacalismo italiano, andatela a cercare. Sono pieni i social di docenti e Ata che continuano ad inveire contro i sindacati indicandoli come gli unici responsabili della deriva della scuola pubblica italiana e della mancata considerazione sociale ed economica, solo in Italia, di chi lavora a scuola. Questi sono, consapevolmente o no, i crumiri.

Non è che non ci siano responsabilità dei sindacati, grandi errori politici e di ingenuità, forse anche qualche collusione, dei gruppi dirigenti sindacali nazionali da almeno vent’anni. Non è che i grandi sindacati, quelli che, insieme sfiorano il mezzo milione di iscritti e il milione di voti nelle RSU, non siano stati attenti, come avrebbero dovuto, a farsi parte della gestione stessa della scuola rischiando di essere scambiati per controparte, nella formazione, nell’ambiguità degli interessi spesso contrapposti tra docenti, dirigenti scolastici, accademici dell’Università, tutti insieme in unico indistinto sindacato.
Non è che non si siano verificati atti di timidezza, raffreddamento della protesta, mancata continuità, come è avvenuto dopo lo sciopero del 5 maggio 2015.
Ci sono stati e ci sono ancora queste nebbie da diradare nell’azione e identità sindacale, su questo non abbiamo mai fatto sconti, in questo gruppo e in tantissimi altri queste stesse critiche sono state espresse.
Ma non possiamo parlarne ancora oggi e qui perché diventerebbe un contributo e un articolo lungo e magari per qualcuno di sguardo corto un alibi rafforzato per non fare sciopero o scrivere con la solita tastiera del qualunquismo.
Quindi fermiamoci qui su questo punto di critica ai sindacati, ne possiamo sempre riparlare dopo il 30 maggio, non prima.
Di memoria storica non se ne parla, lasciamo stare quella antica che riguarda lo sciopero, lo strumento più usato da chi fa lavoro dipendente e che grazie a quelle lotte è uscito da condizioni di schiavitù, bassi salari, compatibilità delle ore di lavoro rispetto alla sua vita.
Qualche pillola più recente. Per dare una data che fotografa la stessa situazione di oggi a proposito della divisione e premialità, pur sapendo che un processo involutivo è iniziato da prima, prendiamo il ministro Luigi Berlinguer nel passaggio tra il secondo e terzo millennio. L’invenzione dell’autonomia scolastica, il tentativo di smembramento del sistema nazionale inclusivo e costituzionale della scuola pubblica, il potere ai dirigenti scolastici datori di lavoro, il “concorsone”, cioè lo stipendio diverso di un docente che fa lo stesso lavoro di un altro e lo stesso numero di ore.
Quel tentativo si può storicamente affermare che sia stato sconfitto, almeno per un altro decennio degli anni duemila.
Il “concorsone” fu bocciato da una grande mobilitazione sindacale, pari pari uguale al decreto 36 del Ministro Bianchi, fu bocciato e ritirato grazie agli scioperi, archiviato per vent’anni. Allora anche il potere del dirigente era equilibrato dalla permanenza degli organi collegiali, RSU all’esordio che non coincidevano così spesso con lo staff del capo. La stessa concezione dell’autonomia di ogni singola scuola, la cui filosofia avrebbe portato alle scuole di serie A e serie B, alla competizione, fino alla regionalizzazione che rimane dietro l’angolo, subiva una battuta d’arresto.
Si facevano pure i contratti biennali e triennali di lavoro con riconoscimento economico sullo stipendio, a bassa intensità certo rispetto alla media europea e tuttavia c’era un adeguamento che superava l’inflazione reale che si era fermata dopo l’adozione dell’euro.
La svolta in negativo sugli stipendi di un lavoro altamente qualificato e professionale, laurea magistrale, abilitazioni, stravolgimento di organici di diritto e di fatto da Paese non più civile con la produzione crescente di precariato, la concezione di un lavoro-missione o integrazione di reddito rispetto a quello del marito (nella scuola italiana l’80% è donna) avviene nel 2010 e nel 2011. Si inaugura anche la stagione dei Ministri Istruzione che rispondono direttamente all’economia, a quella visione dell’economia miope dell’industria italiana che è poi diventata attività finanziaria con le perdite coperte dallo Stato e i dividendi ai proprietari delle grandi imprese, un imprenditoria da prenditori della spesa pubblica non certo da imprenditori.
Arrivano al Ministero la Gelmini e i suoi tagli, poi Profumo con Monti, un banchiere al Ministero Istruzione. Si fermano organici, ancora oggi quelli della Gelmini con copertura del solo turn over e a volte neanche quello, operazione spacciata ogni anno con fantomatiche “assunzioni”, si fermano gli stipendi con l’ultimo contratto fino al 2009 e poi solo una mancetta in quello 2016/2018, oggi 2022 senza contratto.
La scuola con Renzi pianifica il ritorno all’autonomia piena e più deleteria nel 2015 e ci riesce al 90%, piccolo successo solo sulla chiamata diretta provvisoriamente scongiurata. Un grandissimo sciopero del 5 maggio 2015 che non ha avuto la stessa proporzione nei risultati, chi lo ha mai negato? In quel momento il sindacato non ha voluto o non ha saputo dare continuità, maledetti siano tutti i governi che il sindacato considera “amici” perdendo la sua funzione. Guai, per i nostri bravi docenti, aver fallito la seconda puntata di contestazione sulla 107 con il voto del 2018, illusi e disillusi ancor prima del giorno delle elezioni avendo puntato su forze politiche che hanno riproposto e difeso la stessa filosofia con relativi Ministri e Ministre.
Tutto questo non basta ancora alla fondazione Agnelli e al Ministro Bianchi, si deve dare l’ultimo affondo che si nasconde nella cosiddetta formazione, quella delle competenze e di una trasformazione digitale utile ma pericolosa nella sua interpretazione. Alla fine l’abolizione di fatto della libertà di insegnamento costituzionale.
Le risorse per scuola, università e ricerca si riducono, nei fatti, in tutte le leggi di stabilità e quando apparentemente restano uguali le risorse sono destinate a capitoli di spesa sovrastrutturali, l’Invalsi, l’Indire, sprechi ministeriali, la formazione orientata e mirata a fare dello studente il signorsì del datore di lavoro, compensi ai soli dirigenti scolastici, piccole mancette ai collaboratori del ds, progetti inutili e dannosi e via proseguendo.
Niente o quasi su strutture, su stipendi, sul percorso di limitare le diseguaglianze fra nord e sud, fra centro e periferie, su tempo pieno o asili nido che restano esclusiva di alcune zone ricche prevalentemente del nord Italia anche in questo PNRR nei primi quattro miliardi spendibili della prima tranche sulla scuola italiana.
Soldi in meno alla povera scuola italiana anche nella prospettiva del rapporto con il Prodotto interno lordo.
La scusa è la denalità proiettata al 2050 come se fosse qualcosa di ineluttabile, un Paese che non fa figli perché i loro genitori eventuali devono restare precari, senza certezza e stabilità economica, senza congedi parentali che in altri Paesi durano anni, senza servizi, a cominciare proprio dagli asili nido e dal tempo pieno riservati secondo il divario già esistente della spesa storica che si accentuerà ancora di più con la regionalizzazione che pende come una spada di Damocle e della quale non si parla ma si fa, eccome si fa.
Ridicola e provocatoria la tempestività di questo Ministro istruzione, firmatario di patti farlocchi con i sindacati, che licenzia l’atto di indirizzo del contratto scaduto in mezzo ad una preparazione dello sciopero del 30 giugno con le stesse risorse di cinque mesi fa nel tentativo di imbrogliare ancora le carte e depotenziare lo sciopero. Insopportabili i suoi sermoni quotidiani, l’ultimo è addirittura l’indicazione di colpa del suo collega ex Ragioniere dello Stato e oggi Ministro dell’Economia a proposito delle disponibilità finanziarie per il rinnovo contratto, un gioco sporco fra due Ministri tecnici che non hanno nulla da perdere, non saranno mai candidati.
L’articolo si fa lungo, come al solito. La pubblicazione facendone solo la prima puntata, che ci possiamo fare? A noi piace argomentare e non vogliamo subire slogan consueti della pratica dei social. Pur sapendo bene che in un social il 20% si ferma al titolo, il 40% in un gruppo di docenti forse lo legge fino in fondo e il resto neanche quello se ha già deciso di non scioperare perché 60/70 euro di trattenute gli fanno male e se tutti gli altri che scioperano porteranno ad un recupero di dignità e qualche migliaio di euro in più nello stipendio netto annuo meglio anche per lui e chi se ne frega.
Anche uno sciopero del 30 maggio al 50% oggi sarebbe un successo strepitoso, puntiamo a quella percentuale, si faccia una grande manifestazione nazionale a Roma. Sicuro che Ministro, Governo, forze politiche e fondazioni private si preoccuperebbero e non poco anche con la metà dei docenti che alzano la testa.
Sciopero e poi continuare, non fare accordi che prescindano dal parere dei docenti che devono essere consultati e approvarne eventualmente i termini. Naturalmente solo i docenti che scioperano, gli altri continuino a lamentarsi su Facebook in attesa che capiscano.

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