Scuola: se mettiamo in scacco chi insegna, chi forma le nuove generazioni?

di Vittorio Lodolo D’Oria

Studenti ingestibili, genitori accondiscendenti e collaboratore che si “erge a giudice”: se mettiamo in scacco chi insegna distruggiamo le nuove generazioni

La vicenda

Una maestra disperata mi chiede urgentemente un colloquio di persona perché il suo stato d’ansia ha raggiunto livelli intollerabili. Accolgo l’istanza della docente, che vanta tra l’altro ben 30 anni di servizio ed è accompagnata dal marito.

Dopo pochi giorni dal suo appello, la incontro e mi dice di prestare servizio insieme ad altre colleghe in una scuola dell’infanzia.

Sul posto di lavoro il clima – racconta – è reso invivibile a causa di due fratellini ingestibili. I loro genitori sono praticamente inesistenti e, se presenti, irridono ogni azione di richiamo o correzione attuata dalle maestre nei confronti dei loro figli. Può sembrare poca cosa, se non fosse che i due bambini, veri e propri trascinatori, vengono costantemente emulati dai compagni persino nello scimmiottare la alunna disabile che tartaglia.

A volte arrivano addirittura a impossessarsi delle “barbie” delle loro compagne e, dopo averle spogliate e spalancato loro le gambe, a leccare platealmente il pube di fronte a una classe esterrefatta. Se ancora lo sconcerto non appare sufficiente a qualcuno, basti sapere la reazione del genitore che, messo a conoscenza dalle maestre circa le “marachelle” dei pargoli, reagisce sorridendo maliziosamente e sostenendo che lui non ha nessuna colpa se “i suoi figli sono già maturi e più avanti degli altri”.

Tra le trenta famiglie che afferiscono alla classe ve n’è poi una seconda col figlio turbolento che viene spesso redarguito con decisione dalle maestre e talvolta allontanato dai compagni perché violento e rumoroso. A questa situazione già di per sé pesante si aggiunge la presenza di un bidello che si erge a giudice e telefona di propria iniziativa a tutte le famiglie della classe avvertendole che nella scuola hanno luogo maltrattamenti. Delle trenta famiglie, solo due (guarda caso proprio quelle dei tre gianburrasca) credono al bidello e minacciano le maestre di denuncia, arrivando a esigere l’intervento immediato dei Carabinieri sul luogo del delitto.

Per la cronaca, le Forze dell’Ordine, giunte sul posto, si sono subito dette piuttosto seccate per essere state chiamate in circostanza che – secondo loro – non costituiva pericolo immediato e non hanno dato, lì per lì, alcun seguito alla vicenda. Non sappiamo se poi sono state posizionate telecamere nascoste nella scuola mentre il dirigente scolastico, per parte sua, si è detto intenzionato ad avviare un confronto collettivo (ma sarà utile davvero?) tra maestre, genitori, collaboratori scolastici per cercare di appianare le asperità emerse. Fin qui i fatti.

Riflessioni

Non sono certamente i bambini, per quanto agitati e “creativi”, a costituire il nocciolo del problema, ma i circoli viziosi operati dagli altri attori. Il padre che prima “mal-educa” i figli, quindi irride la correzione delle maestre squalificandone l’autorevolezza e l’operato, infine le minaccia di denuncia per maltrattamenti, costituisce anch’esso un caso purtroppo quasi ordinario.

Trovarsi ad affrontare una situazione simile con una platea di trenta famiglie è infatti tutt’altro che infrequente. Chi ha alle spalle trent’anni di insegnamento però non si spaventa certamente per quella che può essere considerata routine o quasi.

Cos’è allora che genera ansia insostenibile nelle maestre?

Per rispondere occorre chiamare in causa e analizzare anche il comportamento degli altri attori dell’intera vicenda. Oltre a maestre, genitori e bimbi, vi sono nell’ordine il collaboratore scolastico, il dirigente e i Carabinieri. Non è assolutamente normale che un bidello, di propria iniziativa, telefoni alle famiglie dicendo loro che nella scuola in cui presta servizio hanno luogo maltrattamenti sui bimbi: siamo di fronte a diffamazione delle maestre e a squalifica di Pubblico servizio.

Non è altresì possibile che il dirigente non assuma drastiche contromisure per sanzionare il dipendente (passibile addirittura di licenziamento per la rottura del rapporto fiduciario con l’istituzione) mentre, da par suo, si limita a promuovere un inutile incontro/scontro tutti-contro-tutti che assume tra l’altro il sapore di un processo di piazza alle maestre.

Da ultimo valutiamo l’atteggiamento dei Carabinieri che rispetto alla scuola sono pur sempre dei non-addetti-ai-lavori per quanto concerne argomenti quali scuola-pedagogia-educazione: questi avrebbero potuto assecondare le accuse dei genitori (magari lo avranno anche fatto) e dare il via a indagini nei confronti delle maestre esponendole ai ben noti metodi d’indagine con telecamere nascoste.

Basta quest’ultima ipotesi a generare un’ansia intollerabile nell’esercitare la professione docente coi piccoli allievi: quando le audiovideointercettazioni captate con le telecamere nascoste vengono manipolate (pesca a strascico, frammentazione, selezione avversa, decontestualizzazione, trascrizione drammatizzata) rappresentare una realtà falsata è alla portata di tutti.

Sappiamo infine che dei metodi correttivi si conosce la sola lista nera, quelli cioè che non sono consentiti, ma non è nota la lista bianca (neanche la Suprema Corte di Cassazione si è cimentata nel tratteggiare l’elenco dei metodi correttivi leciti).

A questo punto viene da chiedersi se l’ansia incoercibile delle maestre non sia persino poca cosa di fronte alla situazione professionale in cui operano.

Al termine del nostro incontro ho consigliato alla maestra di verbalizzare ogni cosa, di condividere tutto con le colleghe, di informare il dirigente per iscritto e di comportarsi nel modo più professionale possibile sul lavoro. Sapendo purtroppo che potrebbe non essere sufficiente (ma questo l’ho tenuto per me). (FONTE: OrizzonteScuola.it)

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