Scuola. Un contratto triennale che non è più triennale

di Salvatore Salerno

Abbiamo preso tanti attacchi per il precedente articolo   dove si sosteneva che i sindacati firmatari del contratto collettivo nazionale di lavoro perdessero volutamente tempo a chiudere sulla parte economica 2019/2021 per causa delle elezioni RSU e per evitare che ognuno di loro si presentasse vulnerabile su questo punto, rimanesse nella posizione ambigua di non firmare perché il governo non vuole concedere quello che chiederebbero.

Abbiamo abbastanza esperienza, anche sindacale, per distinguere tra “Sindacato” con la S maiuscola e “sindacalisti” fautori di questo primo gruppo di attacchi, naturalmente tutti diretti a sottolineare che in questo modo si è contro i sindacati che tutelano i lavoratori e non si sa bene a favore di chi sarebbe il ragionamento di un contratto scaduto che andava comunque chiuso nel triennio anche in presenza di una sconfitta.
Un secondo gruppo di attacchi proviene dagli stessi docenti e ata i quali, ignorando contrattazione e scadenza convenzionale della durata di un contratto, si dichiarano indignati dall’offerta di governo e Parlamento per 107 euro lordi mensili, pari a 40/70 euro netti, rimodulazione degli stipendi da gennaio 2022 e arretrati dal 2019.
Un terzo gruppo dell’ormai cronico populismo italiano rifiuta tutto e pensa di rinviare alle elezioni politiche del 2023 perché la scuola punirebbe chi è contro di loro e, secondo il loro voto presunto, ci saranno al governo amici della scuola pubblica e della valorizzazione economica degli insegnanti e del personale amministrativo. Questo terzo gruppo non tiene in alcun conto che già in questa legislatura si sono succeduti tre governi di segno politico uguale e contrario, che nelle elezioni del 2018 ciascuno ha già votato secondo le sue aspettative e che invece i risultati sulle politiche scolastiche non sono cambiati.
Tutto ciò premesso, si trascura, come spesso accade, il dato più semplice perché è più bello complicarsi un ragionamento per darsi una giustificazione al non far niente lasciando scorrere gli avvenimenti come se questi fossero mossi senza soggetti identificati e identificabili.
Per non cadere nello stesso errore, la sintesi dell’articolo sta nel titolo, siamo in presenza di un contratto collettivo nazionale per il personale della scuola scaduto e non firmato nel triennio che è già passato. Siamo in presenza di un provvedimento tecnico di doppia vacanza contrattuale contemporanea mai esistita nella storia del lavoro in Italia che prevede già la corresponsione di pochissimi euro da gennaio 2022 nella sua concezione di adeguamento all’inflazione che però non è affatto reale ma almeno sette volte tanto come è sotto gli occhi di tutti in questo momento e ancora per lungo tempo. Siamo in presenza di un tempo da calendario che è l’anno 2022, cioè il tempo di una nuova contrattazione per il rinnovo 2022/2024 altrimenti ritorniamo ai tempi di Monti e Tremonti, cioè ai tempi del 2010/2011 quando tutti i contratti di lavoro della pubblica amministrazione sono stati colpevolmente bloccati tanto che si sono dovuti poi recuperare i mancati scatti sulla semplice anzianità del 2011 e del 2012 ma non quello del 2013, quando il primo rinnovo del contratto per la parte economica è arrivato soltanto nel 2018 per il periodo 2016/2018 e poi solo chiacchiere e distintivo, fino ad oggi.
Ci vuole tanto a constatare questa semplice realtà, un rinnovo triennale saltato nei fatti e che può diventare di questo passo quadriennale, quinquennale o anche oltre mentre il bilancio dello Stato mantiene congelati e in cassa oltre tre miliardi di euro deliberati nelle varie leggi di stabilità e finalizzati al rinnovo del contratto scuola?
Per essere dalla parte dei dipendenti pubblici della scuola cosa bisogna fare?
Secondo noi ci sono due possibilità e vediamo brevemente i pro e i contro di ciascuna di esse.
La prima possibilità è continuare a perdere tempo rimanendo sul tema del contratto triennale scaduto, docenti e ata continuano ad avere gli stessi importi nei cedolini e meno di dieci euro in più per la seconda vacanza contrattuale. I sindacati continuano a darsi ragione sulla lotta dura e senza paura, ad indicare tutti gli altri colpevoli, a chiedere qualche decina di euro in più su quella cifra già stanziata e disponibile dei 40/70 euro netti pro capite mensili, i soldi restano nelle casse del Ministero dell’Economia, l’Aran (che è soltanto un’agenzia tecnica del datore di lavoro pubblico visto che Ministri e governo sono troppo impegnati) non convoca per chiudere il contratto e i sindacati non si fanno convocare evitando di incalzare Ministri e governo che sono la vera controparte non l’Aran.
La seconda possibilità è quella di chiudere una pagina di sconfitta per l’esiguo aumento ottenuto da governo e Parlamento con gli stanziamenti chiusi a dicembre 2021 e aprirne una del tutto nuova, quella più logica nella sua intitolazione che dovrebbe essere il contratto triennale 2022/2024 visto che siamo nel 2022.
Perché non si sceglie questa seconda strada con una piattaforma che dal punto di vista economico è proclamata ma mai presentata formalmente per alcuni punti già definiti e, sempre ragionando sul piano economico, sono soltanto tre: 1) un aumento dignitoso che dovrebbe essere di almeno 300 euro mensili secondo scadenze intermedie già a partire dal 2022 e a regime entro il 2024 soltanto per equiparare le figure degli insegnanti e del personale amministrativo agli altri settori della pubblica amministrazione che richiedono uguale titolo di accesso, laurea magistrale quinquennale o vecchio ordinamento; 2) aggiornare subito il dato dell’inflazione reale che viaggiava nei dati Istat intorno allo zero o 1% mentre oggi è tendenzialmente all’8% secondo la stessa Banca d’Italia; 3) recuperare il mancato scatto del 2013 per docenti e ata che non costerebbe molto visto che ormai sono esclusi quelli entrati in ruolo negli ultimi dieci anni, sono più interessati quelli più vicini alla pensione o all’ultimo scatto che è previsto nel 35, cioè 35 anni di servizio mentre per la pensione non si va via prima di 42 o 43 anni di contributi.
E allora perché queste contestazioni al precedente articolo.
Solo perché il Sindacato, nel senso dei suoi dirigenti, non sbaglia mai, perché si è parlato di tre cifre per tre anni intendendo solo 100 euro e pure lordi? Perché non si può fare autocritica, non si può cambiare linea mettendo i tre punti riassunti in precedenza nella contrattazione del giorno dopo di una firma cambiando il titolo del film, per lesa maestà? Perché docenti e ata non dovrebbero prendere i soldi pubblici stanziati per loro sapendo bene che non sarà aggiunto un solo euro a breve, avere la rimodulazione dello stipendio e arretrati?
Tutto questo senza rinunciare a niente altro se non le chiacchiere inutili perché ogni altro discorso aggiuntivo si può fare subito per il contratto 2022/2024.
E poi, certo, la parte normativa, la messa in discussione delle disparità di fasce e livelli, dei vari ordini di scuola, degli stipendi degli amministrativi equiparati alla scuola infanzia e primaria, del precariato che almeno dovrebbe avere lo stesso trattamento, di tutto quello che volete.
Che sia colpa di chi governa, delle forze politiche e del Parlamento che non mettono più denari nella scuola pubblica, che sia colpa degli stessi docenti e ata che non protestano abbastanza e chi più ne ha più ne metta di giustificazioni per assolversi, lo sappiamo ma a farne un alibi, saper perdere e trovare la motivazione a non rassegnarsi ce ne passa.
Si può rilanciare una battaglia contrattuale partendo dal piede giusto, basta volerlo e cambiando passo.

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