DI GIOVANNI BOGANI
Con te, nonna, era sempre una festa venire a mangiare. Cose che ormai ho dimenticato, che riaffiorano alla mente a frammenti. La gelatina di frutta che preparavi, quella cosa incredibilmente buona e trasparente, dolce, che sembrava venire dallo spazio, perché non avevo mai visto niente di simile prima. Rossa, blu, gialla, tremolante, metafisica, futurista, siderale.
E la galantina di pollo, quella cosa strana e per me buonissima, con la carne e dei pezzettini verdi, bianchi, bruno chiaro, come un pavimento a mosaico, come la vetrata di una cattedrale, ed era morbida morbida, era una cosa nuova. Da te, nonna, c’erano sempre cose nuove.
Andare al mercato centrale era una cosa nuova, perché tu conoscevi tutti, e da tutti ti facevi dare qualcosa per me: un pezzettino di parmigiano tenuto sulla punta del coltello da un signore con i baffi, un pezzetto non tanto piccolo, la soddisfazione di mangiarlo. E il Self Service. Quel ristorante che mi sembrava così “americano”, così nuovo, un fast food dell’epoca. L’unico ristorante dove vedevi i piatti e li prendevi tu, da solo. Oggi è normalissimo, ma all’epoca quel tipo di ristorante, con le luci al neon, con i vassoi dentro i quali mettevi quello che volevi, beh, sembrava un paese dei balocchi. Era, ed è tuttora, proprio davanti al Duomo. Ma le luci al neon si sono fatte meno lucenti, l’atmosfera è diventata lugubre, forse è una ultima spiaggia per molti, sessantenni all’ultima solitudine. Forse lo era anche per te, prima di incontrare quello che, a settant’anni, divenne “il tuo ragazzo”. Ma quella è un’altra storia, e l’ho già raccontata.
A casa tua, nonna, tutto sembrava più bello. Anche il fatto che tu cantavi. Canzoni che mi sembravano già – e lo erano – vecchissime, provenienti da un mondo che intuivo di secoli e secoli prima. Mi cantavi “Lo sai che i papaveri son alti alti alti”, mi cantavi “Ciribiribin, che bel faccin”, mi cantavi “C’era una volta un piccolo naviglio che non voleva non voleva navigar”. Capivo che erano cose vecchie, ma il modo allegro con cui cantavi, nonna, quasi mi faceva venir voglia di cantarle anche a me. “Se potessi avere mille lire al mese” era un’altra delle tue preferite. Che infanzia strana, fra la tua stufa di ghisa, la legna da metterci dentro, in cantina, il tuo grande lettone dove dormivo, il pomeriggio, Pappagone alla tv alle sette di sera, e i profumi del ristorante Il Campidoglio che venivano su, dalla tromba delle scale, e a me sembravano buonissimi. Era un mondo di odori, di sapori, di piccoli rituali, di sorprese.
Immagine tratta dal web
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