Sensibili alle foglie, insensibili al dolore delle donne

DI ANNA LISA MINUTILLO

Sarà colpa o merito di questi giorni autunnali in cui i colori cambiano e gli scenari assumono sfumature differenti.
Sarà perché ciò che ci circonda non è proprio ciò che volevamo fosse.


Sarà perché basta un anelito di vento per far volare foglie che vanno ad aggiungere macchie di colore sul verde che lentamente ingiallisce.


Chissà da cosa dipende quel velo di inquietudine che ci stritola in questo abbraccio con la vita.
Fatto sta che queste foglie, soprattutto quelle rosse, a ben guardare ci insegnano molto.


Leggere come piume, ma caparbie al tempo stesso, ancorate alla vita, anche quando la vita le ha abbandonate, magari per mano di chi le doveva proteggere, magari per loro stessa scelta, per spiccare quel volo che diventa l’indegna conclusione di un breve passaggio sulla terra.



Restano lì queste foglie a ricordarci quanto non abbiamo saputo vedere, quanto abbiamo dimenticato, quanto avremmo potuto fare.
Si tingono di rosso ma non esprimono più la passione per la vita, o forse invece sì, quella passione che non hanno più trovato, in quella notte dove chi le ha generate ha deciso di reciderle.


Avrà pensato di donare loro libertà forse, quel padre che nel buio della notte ha posto termine alla vita del prolungamento dei suoi rami, in un istante, senza aspettare di coglierne i frutti, senza dare loro il tempo di maturare, di vivere le proprie stagioni, di diventare uomini e donne.


Figli come foglie allo sbando di un vento che non porta calore ma conduce nel buio delle tenebre, quel buio da cui non si risale più.
Anime leggere e sensibili quelle di donne private di linfa ed abbandonate nel silenzio di domande a cui non hanno mai ricevuto risposte.


Donne strappate al calore della loro casa, dei loro affetti, della loro voglia di continuare a sperare per un domani migliore, per un amore che potesse realmente definirsi tale.
Prati che ricordano quanto tutto possa cambiare velocemente e che vede restare uguale solo la falce della morte che si abbatte su destini segnati da giudici non designati per prendere questa tragica decisione.


Foglie tinte di rosso, come quel sangue versato su prati di indifferenza che ricordano tutta la ferocia del male di vivere in cui l’umanità è sprofondata suo malgrado.


Poi ci sono le foglie di chi decide di sfidarla questa vita, quelle foglie tenere che avrebbero potuto continuare a regalare le loro sfumature migliori, quelle che non sono state ascoltate, quelle a cui è mancata l’attenzione, quelle che si sono ritrovate avvolte in venti di solitudine esistenziale che nessuno ha saputo né guardare e neanche vedere.


Una sfida per ritagliarsi un ruolo, per denunciare la loro esistenza, trasparente quasi fino a quel boato di lamiere accartocciate su strade nel buio di una notte profonda, quando alla guida, ad alta velocità ci si sentiva “importanti”almeno per qualche attimo.


Quelle che in una discoteca tra rumori che stordiscono, indifferenza collettiva e alcool, si sono lanciate verso ulteriori stordimenti per non sentirsi inferiori a nessuno, per dimostrare che qualche pasticca colorata non fa male alla vita, che da lì si può riemergere quasi intonsi per raccontare di quel trip meraviglioso.


Un viaggio che uccide, da cui non si torna, per cui si smette di vivere ma che non viene visto come tale, con tutta la pericolosità che contiene.
Passi tra queste foglie che cercano con la loro presenza di raccontare quanto bisogno ci sia di fermarsi ad ascoltare anche il più piccolo dei pensieri.


Foglie come persone che vengono spazzate via dalla forza del vento che ha portato con sé la morte.
Foglie accumunate dal bisogno di ascolto, dal silenzio dell’indifferenza, dell’incapacità di comunicare.


Date per scontato troppe volte, sottovalutate altre, inascoltate nella maggior parte dei casi, mal interpretate per comodo, dimenticate per non vedere l’orrore di cui siamo portatori ogni volta che ci voltiamo dall’altra parte.


Restano qui, incastrate tra i rami di chi ne è sensibile, restano qui a colorare con la loro breve presenza tutta la miseria dell’animo umano.
Restano qui a ricordarci i figli sterminati, le madri uccise e derise, i sogni di un’adolescenza interrotta i voli che non si faranno più.


Fragili ma testarde, delicate ma forti, stroncate ma ancorate a rami più forti.
Cullate dal silenzio colmo delle loro grida, bagnate da queste gocce di pioggia che paiono le loro lacrime, recise ma con tanto ancora da dire a chi non ci passa sopra ma si ferma ad ascoltare.

Mai come in questi ultimi tempi torna di estrema importanza il valore dell’ascolto, della cura, dell’educazione ai sentimenti che quasi ci si vergogna di provare.


Questi passi in questa mattina autunnale di una Milano che potrebbe essere una città qualsiasi nel resto del mondo, resi speciali da chi a queste vite non ha saputo guardare come avrebbe dovuto, riempiono silenzi che qualcuno ha reso tali pur contenendo tante parole.


Quelle parole che restano incastrate nella pochezza di quelle mani che in pochi istanti hanno deciso di poterne fare a meno, dimenticando forse che quella privazione durerà per sempre…

Anna Lisa Minutillo
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Pubblicato da Anna Lisa Minutillo

Blogger da oltre nove anni. Appassionata di scrittura e fotografia. Ama trattare temi in cui mette al centro le tematiche sociali con uno sguardo maggiore verso l'universo femminile. Ha studiato psicologia ed ancora la studia, in quanto la ritiene un lungo viaggio che non ha fine.