Sexting e minori: occhio a non finire nei guai

Sexting e minori: occhio a non  finire nei guai

Internet, si sa, ha cambiato il mondo, così come i social e la tecnologia in generale, diventando peraltro terreno fertile per la configurazione di nuove ipotesi di illecito.

A tal proposito, uno dei fenomeni sicuramente più discussi ultimamente, è rappresentato dal cosiddetto “sexting”.

Con tale termine, si fa riferimento al reciproco scambio di foto o comunque di immagini a sfondo sessuale tra due soggetti, il più delle volte conosciutisi in modo promiscuo sul web, o che, comunque, a tal fine, usufruiscono dei più diffusi strumenti di messaggistica istantanea (Telegram e Whatsapp in primis) per portare a termine la medesima corrispondenza fotografica.

Tale pratica, naturalmente in presenza di reciproco consenso allo scambio, tra persone adulte, di per sé non è connotata di particolare riprovazione sociale, avendo, semmai, come unica controindicazione (specialmente in caso di “sexting” con sconosciuti/e), quella di eventuali strumentalizzazioni da parte di chi riceva il materiale intimo (es. estorsioni, “revenge porn” ecc..).

Ma se fosse un adulto ad inviare ad un minore foto sessualmente esplicite, costringendo lo stesso ad inviare a sua volte materiale del medesimo tenore?

Il “sexting”, in questo caso, diventerebbe oggetto dell’attenzione del legislatore, configurando l’ipotesi di cui sopra il reato di violenza sessuale, di cui all’art. 609 bis c.p., (e nello specifico la circostanza aggravante di cui all’art. 609 ter c.p.) che punisce chiunque, con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità, costringe taluno a compiere o subire atti sessuali.

Dello stesso avviso la Corte di Cassazione, che si è recentemente espressa con la sentenza n. 25266/2020, sancendo che la motivazione della sussistenza della violenza è da ricercarsi nella coartazione della libertà di autodeterminazione sessuale del minore, che, pur in assenza di contatto fisico, ben può consistere in atti attinenti la “corporeità sessuale” della vittima.

In altre parole, anche solo inviare foto sessualmente esplicite ad un minore, chiedendogli di inviarne a sua volta, è una condotta suscettibile di limitare la sua libertà sessuale, a prescindere dall’avvenuto contatto fisico o meno e, pertanto, è da considerarsi violenza sessuale.

L’intento del legislatore è evidentemente quello di fornire una protezione al minore ancora più incisiva rispetto al passato.

Fonti normative: art. 609 bis c.p., art. 609 ter c.p., Cass. Sent. n. 25266/2020. (FONTE: L’angolo del diritto penale)

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