Dopo un Consiglio dei Ministri, durato oltre quattro ore, il governo ha messo definitivamente in soffitta la cosiddetta ‘quota100’, senza non pochi mal di pancia da parte della Lega che sino a poche ore prima ammoniva a muso duro il ‘giù le mani’ dalla loro bandierina introdotta nel 2018.
Al suo posto una fiammante ‘quota 102’, condivisa da tutto il governo, ha precisato Draghi in conferenza stampa, ma solo per un anno, ossia il 2022 perché il governo intende procedere in direzione della ‘normalità’, ovvero col sistema contributivo come previsto dalla riforma Fornero.
Dal primo gennaio 2022 si potrà dunque lasciare il lavoro con 64 anni d’età e 38 di contribuzione. Quota che però non sarà vincolante per i lavoratori delle piccole e medie imprese in crisi che potranno comunque utilizzare pensionamenti anticipati con 62 anni d’età grazie a un apposito Fondo con una dote di 200 milioni l’anno per il prossimo triennio.
Dal primo gennaio 2023, se nel frattempo governo e parti sindacali non avranno stabilito nuovi accordi per un’uscita flessibile e meno traumatica, andrà a regime in tutto il suo splendore il sistema pensionistico ‘lacrime e sangue’ targato Elsa Fornero varato nel 2012 con lo scopo di contenere il più possibile la spesa previdenziale.
Rimangono, per un’uscita anticipa dal lavoro, sia ‘Opzione donna’ che Ape Sociale, entrambe rafforzate, precisa ancora il premier, in quanto ampliata la gamma dei soggetti che possono usufruirne. Ma con le decurtazioni previste.
Un anno di tregua, dunque per chi decide di dire addio alla vita lavorativa. Poi il ritorno al contributivo, con l’età per l’uscita da concordare nei prossimi tavoli di confronto e scontro con le organizzazioni sociali.
Queste ultime, com’era prevedibile, sono già sul piede di guerra e annunciano il ritorno in piazza: ‘quota 102 è un ambo secco, riguarderebbe solo una platea di 15mila aventi diritto’, tuonano all’unisono ‘una vera presa il giro, uno strumento che permette ai politici di dire che sono soddisfatti’.
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