Silenzio nudo e quiete altissima

DI ANTONIO MARTONE

Fino al tempo di Caspar David Friedrich, la pittura paesaggistica aveva significato soltanto un più o meno riuscito naturalismo.

Allorquando questo grande, e ancora sottovalutato, pittore nordico si accinse alla realizzazione della sua prolifica opera, invece, la storia dell’arte celebrò la nascita di un paesaggismo completamente inedito.

Non si trattava più di ritrarre semplicemente uno scenario ambientale naturale; si trattava piuttosto di far vedere il paesaggio come emanazione visibile di dati che normalmente trascendono la vista.

L’occhio del pittore, secondo questa particolare poetica, diviene un creatore di simboli che s’identificano con i dati fondamentali del mondo e della vita dell’uomo.
Il paesaggio, così, diviene emanazione quasi mistica di realtà eterne.

In esse, il grande pittore tedesco vede qualcosa di incommensurabilmente diverso dalla rappresentazione di alberi e montagne. Nel paesaggio, Friedrich visualizza nientemeno che l’espressione più compiuta della presenza di Dio nel mondo.

In questo contesto, di conseguenza, le tele dell’artista consegnano al fruitore una realtà naturale “vivente”: nei paesaggi di Friedrich, l’immagine pulsa come una realtà costantemente oscillante fra il vuoto e l’infinito.

La natura, del resto, è ritratta in momenti particolari, estremi. La convinzione dell’artista consiste, infatti, nell’idea che, in alcuni momenti, la natura rifletta una verità peculiare non visualizzabile nei momenti ordinari.

La presenza degli esseri umani, inoltre, è limitata ad un ruolo decisamente comprimario. Si tratta di figure piccole e marginali, inghiottite da uno scenario immenso.
Nei dipinti si rinvengono spesso anche tombe e rovine.

Queste presenze, dal punto di vista stilistico, mentre orientano il romanticismo di Friedrich verso il gotico e verso il simbolismo, si mostrano nel contempo capaci di valorizzare in sommo grado una poetica interamente volta a disvelare l’essenza stessa dell’esperienza umana, ossia un’inesorabile destino entropico che ha nel vuoto assoluto la destinazione più propria.

Quando proietto uno sguardo sulla ricchissima pittura dell’Ottocento, riflettendo sulla grandezza dei suoi protagonisti, accanto al segno tormentoso e folle di Vincent Van Gogh, si colloca soltanto il tratto lucidamente consapevole del vuoto e dei silenzi eterni – connotato caratteristico dell’arte formidabile di Caspar David Friedrich.

Immagine tratta dal web

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