Sonata in Do maggiore

DI GIOVANNI BOGANI

 

Ho ricominciato a scriverti. Non so se mi fermerò fra cinque minuti o fra cinque anni, mamma, ma torno a scriverti.

Vorrei che tu fossi da qualche parte. Vorrei che tu fossi. Vorrei che tu fossi, in una dimensione che non so immaginare.

Qui, in questi mesi, ci siamo confrontati tutti con la morte, con la morte che ha investito a caso, come una sistola impazzita che spruzza acqua in giro. E non sai quanta vita non abbiamo vissuto, per non rischiare di morire.

Chissà se sei diventata parte del tutto.

Esiste ancora, in qualche dimensione, quello che ti faceva essere te, proprio te? E quell’amore che avevi per me, è finito da qualche parte? Qui, su questa terra, nessuno ha più avuto qualcosa di simile per me. Mi avevi abituato bene.

Mi avevi abituato a pensare che l’amore è assoluto, che viene prima di tutto, che l’indifferenza è il vero peccato mortale.

Lo hai fatto in modo teatrale e violento, come la volta che ti mettesti a camminare per strada a Viareggio, in vestaglia e ciabatte, come fuggita dal manicomio, alle tre di mattina, e io stavo solamente tornando dal lavoro un po’ più tardi del solito.

Non ti ho mai fatto ascoltare le canzoni che sento. Non ti piacevano. Avrei dovuto lavorarci tanto, per fartele apprezzare.

Soltanto una volta ti ho visto battere il tempo con la mano, un po’ incerta, con quei movimenti un po’ meccanici e rigidi che hanno gli anziani, mentre suonavo il pianoforte di casa tua.

Quello che era abituato a far uscire dalle sue viscere solo Chopin e la Sonata in Do maggiore di Mozart, con i suoi trilli, le biscrome e le semibiscrome. Che tu, regolarmente, rallentavi. Così che io non l’ho mai sentita suonata giusta, fino a quando Youtube non l’ha resa disponibile con un clic. Cioè adesso.

Ritrovo gli appunti che ti scrivevo qualche anno fa.

Era la notte di Pasqua del 2017. Ero andato a vagare per Firenze, sperando di vedere una faccia che mi guardasse, sperando di non essere invisibile. Ero passato da piazza Santo Spirito.

Non c’era ancora la pandemia, e i giovani erano a centinaia, tutti aggruppati, e sembravano tutti avere delle cose interessanti da dirsi. Bottiglie rotte sui gradini della chiesa, risate che infrangevano il rumore già forte.

Ho preso lo scooter. Lo scooter serve, quando non sai dove andare. Perché in un attimo ti puoi fermare, dove vuoi. Con uno scooter, è come essere un cane libero, che corre e si ferma dove gli pare.

Per questo, credo, Giorgio Bettinelli il suo giro del mondo l’ha fatto in scooter. Lo scooter è randagio, come noi.

 

 

scrignodipandora
Latest posts by scrignodipandora (see all)

Pubblicato da scrignodipandora

Sito web di cultura e attualità