Spartacus

DI ANTONIO MARTONE

Correva l’anno 71 a. c. e il viandante che si fosse messo in cammino lungo la Via Appia, avrebbe potuto ammirare il triste spettacolo di un’interminabile processione di croci.

Laceri e seminudi, morenti o già morti e magari in decomposizione, migliaia di uomini inzuppavano con il loro sangue i margini della strada – in terra italica, la più famosa del tempo.

Chi erano i circa seimila sciagurati oggetto di tanto accanimento e tanta crudeltà? Erano assassini, ladri, feroci criminali? Nulla di tutto questo. Si trattava soltanto di poveri schiavi che avevano osato opporsi alla legge di Roma, preferendo morire da uomini liberi, piuttosto che da “strumenti vocali”.

Fra loro c’erano anche dei “gladiatori”, dai quali peraltro era iniziata la rivolta. Come è noto, i gladiatori erano nutriti ed addestrati per darsi la morte reciprocamente davanti alle risate sguaiate dei romani – in occasione di quegli spettacoli nei quali si trattava di uccidere o di essere uccisi.

Finiva così, in maniera atroce, la più importante ribellione di schiavi dell’antichità. Essa aveva tenuto impegnato una parte importante dell’esercito romano: otto legioni guidate nientemeno che da quello che poi sarebbe diventato il triumviro Marco Licinio Crasso, opponendolo a schiavi ed ex-gladiatori dal nome celeberrimo: Crixo, Enomao, Gannico, Casto e, soprattutto, una figura leggendaria dell’antichità come quella del grande Spartaco.

Questi condottieri non erano fra gli uomini crocifissi: ad eccezione di Spartaco il cui corpo, dopo la sconfitta finale, non fu mai più ritrovato, forse perché non più riconoscibile a causa dei colpi ricevuti, gli altri erano morti tutti in precedenza, combattendo con le armi in pugno.

Gli storici antichi sono divisi su quali fossero gli intendimenti di Spartaco. Secondo alcuni il condottiero trace voleva riprendersi la sua libertà dopo essersi severamente vendicato della violenza e delle umiliazioni subite dai romani; secondo altri egli avrebbe voluto addirittura muovere guerra alla repubblica romana per obbligarla ad abolire la schiavitù.

Ciò che è certo, tuttavia, è il fatto che Spartaco è diventato un personaggio epico della storia romana e di quella successiva.

La sua figura apparve addirittura nella storia del pensiero politico moderno quando Karl Marx, in una lettera del 27 febbraio 1861, scrisse all’amico Friedrich Engels le seguenti parole: “Per distendermi ho letto le Guerre civili romane di Appiano.

Ne emerge che Spartaco è l’uomo più folgorante della storia antica. Un grande generale (non come Garibaldi), un personaggio nobile, veramente rappresentativo del proletariato dell’antichità”.

Credo sia dubbio estendere, come voleva Marx, l’idea di lotta di classe ad un periodo storico completamente diverso da quello caratterizzato dalla contrapposizione borghesia/proletariato – e cioè l’età moderna.

Sono persuaso tuttavia che, indipendentemente dalla volontà o meno di provocare l’abolizione della schiavitù, un uomo che lotta, con armi enormemente impari, contro la più grande potenza della terra, obbligando quest’ultima a cocenti umiliazioni, oltre che a severe sconfitte, sia destinato a rimanere impresso nella nostra mente come può farlo soltanto chi combatte, in maniera disperata ma ferma, per la propria vita – contro l’oppressione e l’ingiustizia di chi invece suppone che la propria nascita, o le proprie ricchezze, gli conferiscano un diritto di vita e di morte sugli uomini.

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