Stanislas Lépine, Le Port d’Ouistreham

DI ILARIA PULLE’DI SAN FLORIAN

Stanislas Lépine non ama i contesti affollati e roboanti, al contrario preferisce cimentarsi nella discreta tranquillità di una sobria delicatezza.

La scelta stessa dei cromatismi, che lo portano a spaziare attraverso le differenti tonalità di grigio, manifesta una convincente abilità esecutiva, foriera di notevole e navigata maestria.

A questo proposito, il fatto di utilizzare colori più chiari rispetto alla dominante scena della Scuola di Barbizon ha due conseguenze estremamente importanti: l’assurgere a precursore degli Impressionisti, al pari dei colleghi Eugène Boudin e Antoine Chintreuil, oltre all’olandese Johan Barthold Jongkind, del quale l’artista è un grande estimatore, ed essere automaticamente relegato fuori dai consueti gruppi espositivi, maturando una solitaria carriera, tendenzialmente riservata e non particolarmente soddisfacente dal punto di vista economico.

Lépine sarà spesso costretto a ricercare ulteriori finanziamenti e fonti di guadagno – tutto sommato non indifferente alle mere raffigurazioni.
Non è una casualità, infatti, la fattuale assenza di figure umane, la cui esclusione è talvolta in parte appena mitigata da semplici pittogrammi, nella concentrata dimensione di una suggestiva luminosità.

L’apprezzata quotidianità condizionata dal fascinoso e irrinunciabile ritmo delle stagioni, letteralmente provoca il deciso soffermarsi su strade appartate e giardini patinati, confermando una indiscutibile indole di paesaggista, straordinaria eredità della frequentazione del L’Atelier di Camille Corot, in cui svolge un ottimo apprendistato.

Nel 1855, si trasferisce stabilmente dal nord della Francia a Parigi, sfruttando l’ulteriore possibilità di copiarne le opere al fine di esercitarsi.
Paul Jamot, il critico d’arte, sulla Revue de l’Art et de la Curiosité, lo definisce l’affascinante pittore dei paesaggi parigini, oltre a qualificarlo come l’artista, modesto e sincero, che meglio di chiunque altro è stato in grado di evocare atmosfera e luce della città.

La veduta riportata del porto di Ouistreham, non datata, si riferisce all’omonimo piccolo comune francese – poco meno di diecimila abitanti – sito in Normandia, nel distretto di Calvados, di fatto collegato tramite un canale alla città di Caen; una darsena atta ad ospitare natanti turistici e pescherecci, ma anche imbarcazioni da diporto.

Ouistreham, il cui curioso nome, all’apparenza scandinavo in realtà di origine sassone, trae la propria origine dai termini Westre (Ovest) e Ham (abitazione), deve la propria fama internazionale all’importanza strategica della spiaggia collegata, guadagnata in occasione del secondo conflitto mondiale quando, nel 1944, è il Commando numero 4 a sbarcare sulla suddetta Sword Beach, così chiamata in codice, appartenente alla serie dei territori teatro dello Sbarco in Normandia.

La sua notorietà, tuttavia, non si limita a questo: è qui che lo scrittore George Simenon, nel 1932, scrive e ambienta il quindicesimo episodio della serie del Commissario Maigret, intitolato Il porto delle nebbie, poi interpretato, in versione televisiva, dall’attore d’oltralpe Bruno Cremer.

Il porto delle nebbie, in seguito, nel corso degli anni Ottanta, diviene una pungente espressione giornalistica legata a questioni giudiziarie non troppo chiare, peraltro ripresa più di recente anche per riferirsi all’ONU, apostrofato ‘più che un palazzo di vetro, un porto delle nebbie’…

Stanislas Lépine, Le Port d’Ouistreham, non datato, olio su tela, 19×33.6 cm., Collezione privata
Immagine: web

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