Una rabbia catartica, che spinge alla rivoluzione. Con questa voglia di spaccare il mondo con la musica, i Måneskin trovano una nuova connotazione sonora per esprimere il loro messaggio: la libertà dalle sovrastrutture e dai filtri inutili, unita al desiderio di essere autentici. Sfidano i pregiudizi e i cliché consacrandosi band rock. La rivoluzione è in atto.
L’onda d’urto dei Måneskin investe l’Ariston. In gara al 71° Festival di Sanremo, salgono sul gradino più alto del podio con il brano Zitti e buoni.
Una canzone così poco sanremese, che paradossalmente diventa “giusta” per il Festival.
«Abbiamo avuto la possibilità di salire su un palco come quello dell’Ariston, che è una vetrina importantissima e, allo stesso tempo, un luogo storico nel quale siamo stati abituati a vedere un certo tipo di musica, con il pensiero comune di doversi omologare ai canoni “classici” sanremesi.»
Un risultato incredibile, una vittoria inaspettata, per una manifestazione e un Paese che stanno cambiando.
«Siamo fieri di essere riusciti a dimostrare che, portando in gara un brano dal sound molto duro e diverso rispetto a quelli che solitamente sono posizionati in cima alle classifiche, se si crede veramente in ciò che si fa, se si è genuini e trasparenti, alla fine i risultati arrivano e ripagano di tutti gli sforzi fatti.»
La genesi di un brano rock.
«“Zitti e buoni” è un brano che risale ai nostri primissimi mesi di convivenza, precedenti all’esperienza televisiva di X Factor. Nato con un’identità diversa rispetto a quella attuale, negli anni lo abbiamo rivisto e riadattato a quello che era il sound che stavamo sviluppando, fino ad arrivare a questa versione.»
Una dichiarazione d’intenti, l’identità musicale della band, la loro verità.
«Attraverso questo brano vogliamo esprimere la nostra dichiarazione d’intenti: siamo una band musicale, che ha studiato per arrivare ad avere un sound e un’identità riconoscibili. Una volta arrivati alla maturazione, alla creazione di questa identità, ci sentiamo di affermare che noi siamo questi, questo è il nostro progetto, la nostra musica… e nessuno potrà farci deviare dal percorso che abbiamo intrapreso.»
Zitti e buoni rappresenta la voglia di non porsi limiti nella musica. Così come nella vita.
«La nostra vita, in un certo senso, è la nostra musica. La viviamo in maniera spontanea, andando diretti verso gli obiettivi che ci siamo prefissati di raggiungere. Dallo stile personale all’abbigliamento, cerchiamo di vivere fregandocene dei pregiudizi e delle critiche.»
Scritto e composto interamente dalla band, il brano fa parte di un progetto più ampio: si apre il sipario sul Teatro d’ira.
«Nel titolo dell’album, la volontà di ricercare un contrasto: il teatro viene solitamente accostato a qualcosa di elegante, raffinato… e abbiamo voluto posizionare l’ira in un luogo del genere, proprio per dare l’idea che non si tratta di una rabbia distruttiva, nei confronti di qualcuno, ma costruttiva; una rabbia dalla quale nasce qualcosa di positivo. La possiamo definire una rabbia catartica, che spinge alla rivoluzione.»
Un’ira rivolta alle oppressioni e agli oppressori, che porta a sfogarsi e a ribellarsi verso tutto ciò che ci fa sentire sbagliati e che, come risultato, porta a una rinascita e a un cambiamento.
«Ci piace questa antitesi: un contrasto che vive nel momento in cui il sipario si apre e, al posto di uno spettacolo o di un balletto, ci si ritrova catapultati in questa esplosione di energia.»
Un’onda d’urto che, dopo Manuel Agnelli, investe e conquista anche il rocker di Zocca, che posta sul proprio profilo Instagram il video del duetto sulle note di Amandoti scrivendo: “I miei preferiti”. Una consacrazione mediatica che arriva da sua maestà il Kom.
«Siamo onorati, contentissimi. È un riconoscimento importantissimo per noi! Se Vasco tifa per noi siamo consacrati come band rock.»
La dimensione familiare di una band.
«Al momento, viviamo tutti separati e da soli. Come in tutte le famiglie, ci sono stati momenti di alti e bassi. Ma, per quanto riguarda la musica, i nostri genitori ci hanno sempre spinto, aiutato, sostenuto. Siamo cresciuti a pane e rock.»
Le dinamiche interpersonali di gruppo con una netta distinzione dei ruoli.
«Victoria è quella più “sul pezzo” – racconta Damiano – e anche a livello logistico è decisamente più brava di noi; Thomas risolleva gli animi, un po’ casinista, pieno di positività; Ethan è il maestrino di turno: quando c’è un problema su un brano, lui lo scompone in battute e ti dice perfettamente sul pentagramma dove sei e cosa devi fare. Ed io metto benzina (sorride).»
Spenti i riflettori, i Måneskin si riscoprono musicisti con un potenziale in atto e un vero talento da mettere a frutto. Giovani artisti soddisfatti di quello che fanno e consapevoli della propria riconoscibilità.
«Spenti i riflettori, li accendiamo in sala prove, dove ci vediamo solo noi. Scriviamo la nostra musica e cerchiamo di maturare, di solidificare, quell’identità e quel sound che poi proponiamo al pubblico. Un pubblico composto prevalentemente di ragazzi della nostra età, a cui piace molto ciò che facciamo e soprattutto il modo in cui lo esprimiamo. La sincerità, nella vita come nella musica, paga.»
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